Sorpresa

Il Consiglio Comunale nella seduta di giovedì 27 luglio, con una votazione bipartisan, ha concesso 30.000 metri quadri di superficie, nella località Arzeroni in uso d superficie o per la costruzione del “don Vecchi 5” ed in seguito per il villaggio di accoglienza.

Con mia sorpresa e delusione solamente il consigliere Bonzio di Rifondazione Comunista, ha votato contro.

Sono rimasto sorpreso ed estremamente deluso perché pensavo, da ingenuo, che l’estrema sinistra si qualificasse come il partito che ha più a cuore il dramma dei poveri. Un po’ meno, ma sempre deluso, mi hanno lasciato i due rappresentanti della Lega che pensavo avessero soprattutto attenzione ai problemi locali, mentre se ne sono pilatescamente lavate le mani.

Ho scritto ad ambedue gli schieramenti politici la mia delusione se mai siano interessati a sapere ciò che pensano i cittadini della loro “politica”.

La linea del Piave

Nota della Redazione: questo articolo, come gli altri, risale ad un paio di mesi fa e fortunatamente nel frattempo il comune ci ha dato il terreno.

Quando si parla della grande guerra ci si riferisce all'”offensiva del Piave” come alla battaglia decisiva di quel tragico ed immane conflitto.

Mio padre, che a quel tempo abitava al Eraclea nel mio paese nativo, che è a ridosso della sponda sinistra del Piave, mi raccontava dei tentativi dei tedeschi di passare il fiume tentando in ogni maniera di buttare ponti di barche. Io sono suo figlio; quasi un secolo dopo mi pare non solamente di partecipare con trepidazione a questo evento, ma sento su di me la responsabilità di guidare un’altra battaglia importante, come il vecchio Cadorna. Se entro poco tempo non riusciamo ad ottenere la superficie per costruire il “don Vecchi 5” per gli anziani in perdita di autonomia, perdiamo il finanziamento della Regione, una opportunità che capita una volta nella vita.

Qualche giorno fa ho scritto al sindaco e alla compagine dei suoi assessori che sento il dovere sacrosanto di dar voce a chi non ha voce e che perciò adoprerò ogni mezzo lecito per sconfiggere la burocrazia dell’amministrazione comunale.

Spero che una volta tanto Orsoni esca dalla sua pace olimpica per prendere posizione ed aiutarci ad aiutarlo.

Terrò informati i miei amici pubblicando ogni settimana i bollettini della nostra guerra.

P.S. le mie minacce hanno raggiunto lo scopo: il Comune ci ha dato il terreno

Voce per chi non ha voce

Una volta tanto spero di essere totalmente fedele al Vangelo. In questi giorni ho grosse difficoltà col Comune perché la sua proverbiale inerzia rischia di farci perdere i duemilioniottocentomila euro di mutuo se entro fine di agosto non ci assegna il terreno per il “don Vecchi 5”.

Mi sono chiesto che cosa posso fare per non permettere che i vecchi poveri di Mestre perdano questa fortuna. La lettura del Vangelo mi ha fornito la risposta attraverso la parabola del giudice disonesto e la vedova che chiedeva giustizia. La vedova insistette tanto che il giudice si disse: “Anche se la sorte di quella donna non mi interessa punto, purché non mi scocci ulteriormente, l’ascolterò”.

“Signore ti ringrazio di questo insegnamento”, non lascerò passare settimana senza tirare il sindaco per la giacca. Spero che Orsoni non sia più iniquo del giudice della povera vedova. Comunque informerò i miei amici sulla validità dell’insegnamento di Gesù.

P.S. una volta tanto il Comune è arrivato in tempo!

L’arbusto del granello di senape

Nella vita, mi par di aver capito che bisogna avere il coraggio di gettare un seme, per quanto piccolo possa apparire.

Gesù è un buon maestro anche in questo settore, quando parla del “granellino di senapa” che è il più piccolo tra le sementi, ma una volta cresciuto, diventa un arbusto sui cui rami possono ripararsi gli uccelli dell’aria.

La stessa cosa è avvenuta per il “don Vecchi”. Gettato il seme, in pochi anni è cresciuto, quasi senza che nessuno se ne accorgesse, arrivando a 310 appartamentini, 400 ospiti, 250 volontari, il magazzino dei vestiti per i poveri con trentamila presenze l’anno, il Seniorrestaurant con i suoi volontari. Altrettanto il bar, il chiosco della frutta e verdura con 200 “clienti”, il magazzino dei mobili, dei supporti per gli infermi, il banco alimentare con i suoi 2500 assistiti, la Galleria San Valentino, ecc.

Da queste realtà un vero esercito di collaboratori offrono il loro tempo e lavoro, ma nel contempo hanno pure i loro vantaggi. La gente dice che “una mano lava l’altra”. Questa massima è valida anche da noi, motivo per cui i beneficiati dal “don Vecchi” non sono solamente i 400 anziani, ma l’indotto è dieci volte più numeroso.

La lode a Dio dei giorni nostri è ben espressa dalla solidarietà

Dopo vent’anni di impegno per elaborare la dottrina che l’anziano ha diritto ad avere un alloggio tutto suo, che possa decidere liberamente sul tipo di vita che vuole condurre e che possa avere i mezzi economici sufficienti per gestire, senza mendicare dagli altri, la propria casa, mi pare di riscontrare che un po’ alla volta la città stia recependo questa dottrina e stia facendosi carico di questa esperienza pilota.

Imputo questo splendido e difficile risultato al fatto che le strutture dei quattro Centri don Vecchi presenti nel territorio danno credito e prova concreta a questa nuova filosofia nei riguardi della terza e quarta età.

Secondo elemento determinante credo provenga dal fatto che i giornali e le televisioni locali hanno costantemente informato positivamente sull’evolversi ed affermarsi di questa esperienza. “L’incontro” poi si è fatto carico e ragion d’essere della proposta portata avanti dalla Fondazione Carpinetum che gestisce i Centri don Vecchi, esperienza innovativa e, per molti versi, pilota a livello nazionale.

L’informazione incalzante ha creato una nuova cultura ed una nuova coscienza riguardo la possibilità di offrire un vespero più dignitoso e gradito ai nostri vecchi.

Pensavo con soddisfazione a tutto questo quando, qualche tempo fa, sono stato invitato ad una conferenza stampa in Comune per lanciare l’iniziativa di donare ai Centri don Vecchi una vettura attrezzata per favorire il trasporto nei luoghi di cura ai nostri anziani.

Tutti i giornalisti, ma pure i rappresentanti politici, mostravano non solamente conoscenza, ma pure condivisione degli obiettivi portati avanti dalla Fondazione che gestisce i vari Centri esistenti in città.

Questa sensazione aveva cominciato ad affermarsi nel mio animo avendo constatato che la città manifestava conoscenza e consenso con una “pioggerella” lieve, ma consistente, di donazioni fatte nelle occasioni più disparate della vita dei concittadini.

Alla “pioggerella” ultimamente si sono aggiunte le eredità e le donazioni di notevole consistenza, tanto che hanno incoraggiato la Fondazione ad elaborare progetti veramente consistenti.

A me, prete, il fatto che la solidarietà abbia trovato uno sbocco così promettente, ha fatto sentire che “Il Regno” si sta affermando in maniera solida, anche se i riti sono spesso disertati, conscio dell’antica sentenza “Ubi caritas, ibi Deus”: dove cresce la solidarietà è sempre presente Dio! Oggi la lode a Dio è ben espressa dalla condivisione e dalla solidarietà.

Una splendida gita-pellegrinaggio a Caorle

A fine maggio sono andato a Caorle, con gli anziani del “don Vecchi” e non, utilizzando una “scoperta pastorale” del tempo in cui mi occupavo degli anziani della parrocchia. Chiamavamo, e continuo a chiamare queste uscite pomeridiane verso una delle mete che ci offre il nostro Veneto, “gite-pellegrinaggio”. La soluzione risulta economica, poco faticosa per gli anziani, assai gradita e ricca di proposta spirituale.

Partenza alle ore 14,30, dopo il pranzo e il riposino, due pullman gran turismo, la possibilità di una bella chiacchierata per raggiungere la meta, messa con un messaggio ben preciso con presentazione, preghiere dei fedeli ad hoc, canto, intervento culturale per rendersi conto della storia e dell’arte della ridente cittadina che s’affaccia sulla sponda dell’Adriatico, merenda casereccia a base di pane e salame, prosciutto e formaggio, vinello bianco e bibite assortite. Il tutto per la “misera moneta” di 10 (dieci) euro!

Concentrare tanti vantaggi in una sola mezza giornata e con la spesa di 10 euro, rappresenta un miracolo veramente gradito dagli anziani.

Anche il tempo è stato benevolo e ci ha permesso di fare tutto. In più ci ha dato la possibilità di una passeggiata fino al piccolo santuario della Madonnina dei pescatori per dire una decina di rosario, ricordando alla Vergine i nostri vivi e i nostri morti, i problemi e i progetti. Concludendo abbiamo intonato “Madonnina del mare”, un canto dolce ed esaltante sul ritmo di un valzer non troppo lento, che ha portato con dolcezza in cielo la nostra preghiera.

Poi abbiamo potuto concederci una passeggiata percorrendo il corso ed inoltrandoci nelle stradine strette dell’antico borgo di pescatori, ora arricchiti col turismo, le cui case si rifanno alla tavolozza di quelle di Burano, ma in una cornice molto più ricca ed intensa.

Qualcuno dei nostri vecchi si è concesso il lusso di sedersi al bar e farsi servire il caffè come i signori o i turisti; qualche altro s’è preso i calamari bollenti al cartoccio, passeggiando ed intervallando le chiacchiere con quel pesce fresco e prelibato.

Al ritorno poi la signora Laura e Gianni si sono avvicendati in uno show a base di barzellette, per cui non è mancato neppure il cabaret!

Siamo tornati e anche i vecchi più brontoloni hanno convenuto che il mondo è più bello di quanto pensassero, la vita più cara e gli amici più simpatici.

Ditemi se questo non è un “miracolo”. E a soli dieci euro!

Certi “passaggi” sono davvero impegnativi

Venerdì scorso ho salutato Emma Busso, la signorina novantenne che ha vissuto i dieci anni più belli della sua vita al “don Vecchi”. Avendole dovuto affiancare una badante part-time, lei che è sempre vissuta poveramente, rammendando vestiti alle dipendenze di sua madre quanto mai autoritaria, s’è perfino illusa di essere “una signora” che aveva alle sue dipendenze una “serva” a cui poter comandare.

La signorina Emma me la sono portata in dote da Carpenedo, diventando per lei, che non aveva parenti, ma solamente qualche cognata con cui non aveva rapporti a causa del suo carattere un po’ scontroso e diffidente, sono diventato quasi l’unico, il suo unico punto di riferimento, ma anche l’amministratore delegato dei beni provenienti dalla sua pensione di 480 euro mensili!

Prima che partisse “per una cura speciale in clinica”, “le ragazze” l’avevano portata dal parrucchiere e le avevano messo il vestito migliore del suo guardaroba di vecchia sarta, tanto che prima che Bepi della San Vincenzo, confidente e autista di fiducia, l’accompagnasse nella “clinica specialistica” degli “Anni azzurri” di Quarto d’Altino, per rimetterla a nuovo, m’è parsa persino più bella. Confesso che ho avuto un attimo di commozione e di tenerezza.

Spero di averla messa in buone mani, avendola affidata a Bruno, il responsabile degli infermieri di quella casa di riposo e nostro caro amico e al parroco di Quarto d’Altino, che le aveva mandato una volontaria ad accoglierla.

Farò di tutto perché ci sia qualcuno che l’accompagni con affetto nell’ultimo tratto di strada, sperando poi che il Signore me la mandi buona, avendo firmato “come parente prossimo” un sacco di carte, con cui “l’azienda che commercia in vecchi” sia garantita da ogni rischio di qualsiasi genere.

Fortunatamente possiamo contare su tanti collaboratori motivati, intelligenti e generosi, ma trasferire dal “don Vecchi” ad una casa di riposo per non autosufficienti un nostro residente è “un’impresa impossibile”, per gli infiniti inghippi posti dall’una e dall’altra sponda.

Al pensiero che abbiamo almeno un’altra decina di residenti che dovrebbero fare questo “passaggio”, senza però il minimo impegno dei parenti, mi viene veramente da rabbrividire, ma la carità spicciola concreta, non quella soprannaturale o da prediche, purtroppo pretende tutto questo, anche se è molto più prosaica.

L’avvio della progettazione del villaggio solidale

Finalmente, dopo un’attenta valutazione delle proposte e dei costi, il consiglio di amministrazione della Fondazione qualche settimana fa ha affidato allo studio di architettura di Paolo Mar e della figlia, come capofila, e di quello delle architette Cecchi e Casaril, come associate, la progettazione del plano volumetrico del “villaggio solidale degli Arzeroni” e del Centro don Vecchi 5, come progettisti e direttori dei lavori.

Avendo partecipato al consiglio per benevola concessione del presidente e dei consiglieri, che mi hanno voluto come “padre nobile” o “presidente emerito”, o come vecchio amico, ho chiesto la parola per precisare alcuni concetti che mi stanno particolarmente a cuore e dei quali credo opportuno che la cittadinanza sia a conoscenza.

Dissi all’architetto Mar, che conosco da cinquant’anni e che appartiene ad una famiglia a me particolarmente cara: «La Fondazione vi affida a livello formale e con atto ufficiale l’incarico, ritenendovi professionisti quanto mai validi, ma in realtà vi chiediamo di lasciarvi coinvolgere totalmente nella realizzazione di questo progetto di immensa valenza sociale, in questa nostra avventura solidale. Oltre che professionisti seri vi chiediamo di essere amici e cristiani che assolvono questo compito come un atto di amore verso la nostra città, la Chiesa mestrina e soprattutto verso i concittadini in disagio.

Secondo: vorrei che foste completamente consapevoli che la realizzazione di questo villaggio di accoglienza dei concittadini che versano in ogni tipo di difficoltà, deve qualificare a livello sociale la nostra città».

E aggiunsi inoltre che sia il villaggio che il “don Vecchi 5”, vorremmo che rappresentassero un progetto pilota, estremamente innovativo, che desse vita ad una sperimentazione che dovrà essere punto di riferimento nel settore dell’assistenza sociale e della terza età, come lo è stato il “don Vecchi”, per il quale perfino dal Giappone, oltre che da molte regioni d’Italia, sono venuti professionisti ed amministratori pubblici per avere motivo di confronto e di ispirazione.

E’ nell’animo della Fondazione non solamente creare una struttura di servizio, ma soprattutto aprire la strada per soluzioni innovative più avanzate e più rispondenti alle attese dei fratelli in difficoltà e in disagio.

Il primo approccio

Il mio primo approccio col nuovo Patriarca è stato un po’ particolare, tanto che sto aspettando con curiosità di vedere che conseguenze potrà avere. La premessa di questo approccio è stata la seguente: una ventina di anni fa il Patriarca di allora, che penso sia stato il cardinal Luciani, il futuro Papa che guidò la Chiesa per appena un mese, probabilmente essendosi accorto delle iniziative che avevo posto in atto in parrocchia a favore degli anziani (il Ritrovo, quella specie di club per gli anziani, antesignano di quelli che sarebbero sorti ovunque negli anni successivi; il mensile “L’anziano”; la villa asolana per le vacanze dei membri della terza età; la rubrica radiofonica “Nonna radio” a Radiocarpini, e i primi esperimenti residenziali: Ca’ Teresa, Ca’ Dolores, Ca’ Elisa, Ca’ Elisabetta) mi chiese di occuparmi della pastorale degli anziani, istituendo un “ufficio” solamente nominativo.

Io presi sul serio il compito. Ricordo una assemblea cittadina nella chiesa del Sacro Cuore, quando riempimmo la chiesa di capelli grigi e bianchi, ed un’altra in San Marco, pure con grande successo.

Sotto lo stimolo del mia staff di collaboratori, nacquero pure parecchi gruppi di anziani, soprattutto a Mestre. Mi accorsi però abbastanza presto che la curia mi aveva lasciato solo e i parroci, senza lo stimolo del “governo”, non amavano troppo caricarsi di nuovi impegni, specie quei preti che di impegni ne hanno ben pochi.

Rassegnai le dimissioni. Dapprima insistettero un poco, poi mi dissero che suggerissi un successore, poi molto probabilmente si dimenticarono del tutto la cosa.

Nell’organigramma, molto consistente, pubblicato nell’annuario della chiesa veneziana, per dimenticanza o perché non sembrava bello lasciare una casella vuota, mantennero il mio nome. Fatto sta che all’indomani dell’ingresso del nuovo Patriarca, essendo stata convocata una riunione di tutti i responsabili delle varie attività pastorali per informare il nuovo vescovo, arrivò anche a me l’invito a partecipare in qualità di direttore dell’ufficio per la pastorale degli anziani.

Mi parve scortese non presentarmi al nuovo Patriarca, allora pensai di scrivergli per informarlo di come era andata la cosa e che da quindici anni non occupavo più quell’incarico. Spero che la lettera di scusa per non partecipare all’incontro mi abbia evitato il pericolo di mostrarmi scortese nei suoi riguardi, ma anche possa il nuovo Vescovo accorgersi di che polli sia composto il suo pollaio!

Un prete per il don Vecchi di Campalto

A Campalto la casa degli anziani del “don Vecchi” è bella e luminosa, circondata da una campagna verde ed ubertosa, l’arredo è quanto mai signorile e la galleria di quadri ben fornita di quadri di tutti gli stili e per tutti i gusti. Pur tuttavia rimane quasi “una prigione dorata”. Se un residente desidera recarsi a Campalto o in qualsiasi altra località, deve farlo sempre con l’autobus di linea o in automobile, ma sono appena una decina gli anziani che ne posseggono una, mentre chi poi gode della pensione di 580 euro non può permettersi neanche la più scassata delle auto.

Per ora prosegue “la guerra di logoramento” contro l’ANAS e il Comune per avere i permessi a costruire una pista ciclo-pedonabile, però senza grandi risultati.

Anche per quanto riguarda la frequenza alla messa domenicale via Orlanda rappresenta la invalicabile “linea Maginot”! Supponendo che le cose sarebbero andate così, il giorno dell’inaugurazione avevamo usato lo stratagemma di donare “le chiavi della cittadella degli anziani” al parroco, don Massimo, per invogliarlo a frequentare il suo “possedimento”. Fatica sprecata, perché il parroco di Campalto è un povero diavolo, solo soletto, che deve pensare ad una parrocchia numerosa.

Alla mancanza dell’Eucaristia settimanale finora abbiamo supplito con una “messa secca” celebrata dal signor Enrico Carmio. Al sabato, come nei Paesi di missione, il nostro laico conduce la liturgia della penitenza, della parola e della lode al Signore. Una trentina di anziani partecipa all’incontro religioso, ma penso non sarebbero molti di più anche se il nuovo Patriarca vi celebrasse il pontificale con tanto di mitria e di pastorale!

Ora la Provvidenza ci ha dato una mano con la richiesta di un vecchio prete in pensione e relegato in un quasi “esilio” in un paesetto di campagna del contado, di avere un alloggio al Centro. Don Valentino, il prete ottantenne, carico di acciacchi, è entrato per Pasqua, con grande gioia di Lino, Stefano – responsabili del Centro – e mia. Ora spero tanto che abbia il fascino del suo celebre omonimo e trascini attorno alla Mensa del Signore la maggioranza degli ospiti che, come sempre, sono donne, ma spero pure che ad esse si accodino anche gli uomini.

La curia ci aveva promesso un prete giovane, insegnante di teologia; s’è però rotto una gamba sciando e perciò non l’abbiamo visto. Speriamo ora che don Valentino, vecchio prete di campagna, pur con meno teologia, abbia parole più semplici ma anche più convincenti per portare a Dio le pecorelle del “don vecchi” di Campalto.

Prima di tutto viene l’uomo, e soprattutto l’uomo debole e bisognoso di aiuto!

Ormai s’è voltato pagina. Per evitare diatribe con il parroco e con uno dei tanti comitati a lui collegati, che di legale non han proprio nulla se non il gusto e l’arroganza di opporsi a qualche iniziativa concreta e di rappresentare, senza mandato alcuno, “la cittadinanza”, il consiglio della Fondazione ha accettato la proposta del Comune per un terreno ai margini della città, chiamato – non so perché – degli “Arzeroni”.

Credo che la decisione sia stata saggia, non solo per evitare ulteriori polemiche, ma anche perché l’area del parco che sarebbe stata concessa era veramente angusta. Si tenterà, agli Arzeroni, di dar vita ad una struttura più capiente, per poter ospitare più anziani e dar respiro ad progetto più articolato e spazioso.

Ho letto le proposte, veramente generose, che il presidente della Fondazione, don Gianni, ha fatto al comitato “rappresentato” da un “triumvirato”, ma non c’è stato nulla da fare, il “popolo” ha detto di no, basta, non si discute, ma si deve accettare la volontà (in questo caso non si può proprio dire “popolare”) ma della borghesia, come sempre poco interessata alla sorte degli ultimi, di quelli che non hanno voce, né diritto di chiedere di essere aiutati.

Ho letto sul “Gazzettino”, le conclusioni, più che concilianti, del presidente della Fondazione, don Gianni Antoniazzi, il giovane parroco di Carpenedo che, nonostante tutto, assicura che il “don Vecchi” sarà a disposizione anche degli anziani di San Pietro Orseolo, qualora ne avessero bisogno.

Questa è la decisione del consiglio di amministrazione e del suo presidente, sulla quale non ho nulla da eccepire, della quale sono veramente ammirato e che favorirò con tutta la mia volontà. A livello personale però, e per coerenza alle scelte di tutta la mia vita, sento il dovere di affermare con forza che per me questi comportamenti non solamente non sono solidali, ma certamente incomprensibili per la parrocchia e per chi si ritiene cristiano. Prima di tutto viene l’uomo, e soprattutto l’uomo debole e bisognoso di aiuto.

Credo che la gente di Viale don Sturzo, a motivo dell’intervento di qualcuno, abbia perso una buona occasione per dimostrarsi civile ancor prima che cristiana.

Nell’articolo del Gazzettino si dice che quelli del comitato hanno affermato che stanno “sopportando” i due Centri, mentre in realtà il Centro don Vecchi è l’unica realtà positiva che c’è in Viale don Sturzo. Mezza Italia s’è interessata a questa esperienza di eccellenza che dà lustro e che tutti ci invidiano.

Tutto questo sento il dovere di affermare per dire “pane al pane” e perché ognuno si prenda le sue responsabilità.

Don Vecchi 5: il nostro impegno e la burocrazia

Ho l’impressione che il dottor Remo Sernagiotto, assessore alle politiche sociali della Regione Veneto, sia un neofita in politica e, peggio ancora, nel settore amministrativo di un ente pubblico, perché mi pare che sia partito in quarta per dare una soluzione al gravissimo problema degli anziani, ma ora stia sbattendo il naso sugli sbarramenti burocratici dell’amministrazione regionale.

Mi par di aver capito che gli enti pubblici, per tutelarsi dagli imbrogli e per garantire trasparenza, finiscano invece per far allungare i tempi e far lievitare i costi, arrivando sempre in ritardo e scontentando un po’ tutte le persone di buon senso.

Sernagiotto ha certamente capito che le cose non possono più continuare come sono state impostate finora per quanto riguarda gli anziani: non ci sono case di riposo, i posti che ci sono hanno un costo insopportabile perfino per la Regione ed infine la qualità della vita offerta è assai scadente.

Quando ha visto il “don Vecchi”, e soprattutto quando gli abbiamo presentato i costi, gli è parso di aver finalmente “scoperto l’America” e ci ha detto: «Cominciate, io vi offro il finanziamento per la costruzione e vi garantisco una modesta diaria per la pulizia alle persone e agli alloggi». Noi, temerari come sempre, abbiamo accettato la sfida.

I guai però sono sbocciati immediatamente: c’è voluta una legge, s’è dovuto bandire un concorso, con regole e cavilli infiniti e nel frattempo è già quasi passato un anno. Ora ci vorrà un bando europeo per la gara di appalto e dovremo fare un percorso di guerra per ottenere a bocconi il denaro stanziato.

Ogni tanto sulla stampa esce qualche dichiarazione di Sernagiotto sugli obiettivi, sulla dottrina e quant’altro; ogni volta pare che il progetto si ingarbugli. Da parte nostra le idee sono più chiare: l’alloggio offerto diventa la casa dell’anziano che ne diviene il titolare. L’anziano paga i costi condominiali, le utenze e provvede per il suo sostentamento e il costo di tutto dovrà essere sopportabile anche per chi ha la pensione minima.

In più, agli anziani in perdita di autonomia, sarà garantita, a titolo gratuito, la pulizia dell’alloggio e della persona, e tutto questo a spese della Regione, cosa questa di non poco conto, perché così anche gli anziani poveri potranno vivere in un alloggio più che decente, potranno fruire di spazi comuni e, soprattutto, sapranno che dietro a loro c’è un minimo di organizzazione su cui poter contare nei casi di emergenza.

Spero quindi che Sernagiotto e i suoi funzionari non ingarbuglino le cose più del necessario.

Invitato a parlare del don Vecchi

Il Centro di Studi Storici di Mestre mi ha invitato a parlare al Candiani sui Centri don Vecchi. Quando il presidente di questo prestigioso gruppo culturale, con una telefonata calda e confidenziale, mi ha invitato ad esporre questa esperienza, che grazie a Dio è diventata, certamente non per merito mio esclusivo, un fiore all’occhiello della nostra città, d’istinto gli avrei detto subito di no. Io sono schivo, introverso e sono convinto di non avere le qualità del conferenziere sciolto e brillante che sa presentare l’esperienza – pur estremamente valida, ne sono convinto – in maniera convincente e soprattutto tale da non annoiare, ma anzi di entusiasmare il pubblico.

Il prof. Stevano, però, è stato così irrompente e deciso che non sono riuscito a sottrarmi all’invito che mi offriva l’opportunità di promuovere questa struttura per gli anziani e soprattutto mi offriva “peso” per poter ottenere dall’amministrazione comunale la superficie indispensabile per attuare il progetto, già finanziato dalla Regione, a favore di una struttura destinata agli anziani in perdita di autonomia.
Dissi di si proprio perché non sono riuscito a dir di no!

Il Centro Studi Storici ha fatto veramente le cose per bene. Un titolo incisivo: “Il miracolo della sfida dei Centri don Vecchi”. Un manifesto con la mia immagine, molto bello, tanto che mi sono sorpreso della mia figura armoniosa, quasi quella di un vecchio dalla capigliatura copiosa e candida, ma soprattutto dal volto ricco di bonomia e di calda umanità. Consistente la diffusione dei manifesti e notevole l’informazione sulla stampa.

Il pubblico m’è apparso subito accattivante: molti volti conosciuti ed amici, consistente la rappresentazione del popolo dei vecchi, il resto costituito perlopiù dalle solite persone anziane che normalmente partecipano a queste cose.

Mi sono subito sentito a casa, facilitato da un anfitrione che ha condotto il discorso con maestria, interrompendo quel temuto monologo che mi avrebbe affossato in un mare di noia.

La dottoressa Corsi poi, ora funzionario del Comune e mia antica allieva delle magistrali, la quale è stata praticamente l’ideologa e la “cofondatrice” di questa iniziativa innovatrice nel settore della terza età, ha costruito in maniera brillante una cornice di taglio intellettuale al mio intervento. Cosicché, tutto sommato, penso che la cosa abbia sortito un risultato positivo.

Ora, forte anche di questo avvallo civico, presenterò con più decisione ed autorevolezza la mia richiesta al Comune io mi predisporrò ad uno scontro deciso attraverso i mass-media per ottenere quello che il Comune ci dovrebbe dare in un piatto d’argento.

E’ tempo non solamente di dare più anni alla vita, ma anche più vita agli anni!

Permettere che gli anziani vivano da persone fino alla conclusione naturale della vita, è di certo un’utopia a livello razionale, ma non certamente una chimera.

Adopero il termine “utopia” nel suo vero significato, ossia una méta alta e nobile a cui tendere anche se irraggiungibile in maniera definitiva, ma che costituisce la spinta ad avanzare costantemente e progressivamente, e non nell’accessione popolare in cui si pensa all’utopia come ad una realtà impossibile.

Noi del “don Vecchi” perseguiamo l’utopia che gli anziani possano vivere e dare il meglio di sé fino all’ultima goccia della loro esistenza e crediamo che ciò sia possibile facilitando l’ultimo percorso di queste persone della terza e quarta età.

A supportarmi in questa avventura sono gli anziani miei coinquilini del “don Vecchi” e pure un certo numero di anziani che, pur non abitando al Centro, ne condividono la vita e gli obiettivi.

Qualche giorno fa mi si è avvicinato il signor Nino Brunello, 95 anni a giorni, che due volte la settimana suona il violino nell’orchestra del “don Vecchi”. Mi dice: «Don Armando, domenica le suonerei un pezzo di Vivaldi, è contento?». Sempre lui ha cominciato a donarmi i dipinti della “sua” Venezia e poi, usando delle belle e grandi cornici, forniteci da amici, ha dipinto per noi altri bei paesaggi veneziani che si rifanno al Guardi e che “sanno di primavera” per le pareti del Centro di Campalto. Altri dipinti sono in magazzino in attesa del “don Vecchi 5”, destinato agli anziani in perdita di autonomia.

Al “don Vecchi” gli anziani novantenni non sono mosche bianche: il coro del Centro ha un’età media di 85 anni, eppure la domenica della neve ho dovuto proibir loro di venire nella chiesa del cimitero per animare la messa, altrimenti avrebbero sfidato in maniera impavida il ghiaccio e la bora.

Noi del Centro perseguiamo la massima che afferma: “E’ tempo non solamente di dare più anni alla vita, ma anche più vita agli anni!”. Mi pare che tutto ciò non sia una fata morgana, ma una meta allettante. Il sogno “che la morte ci incontri ancora vivi” è possibile a chi ha il coraggio di impegnarsi e non si fa mettere in casa di riposo.