La “ricetta” per una chiesa gremita!

Il mio coro domenica mattina ha ricevuto a fine messa un caldo e prolungato applauso dall’assemblea che gremiva la chiesa, occupando tutte le 220 sedie, stando in piedi lungo le pareti e gremendo pure il sagrato.

Sono troppo vecchio per chiedere alla Veritas e al Comune di ampliare la chiesa del cimitero, mi accontento anche così e spero che i fedeli della mia splendida comunità facciano lo stesso.

Essendo stonato, ma tanto stonato, ho chiesto alla “Corale Santa Cecilia” del “Don Vecchi” il dono di animare alla domenica l’Eucaristia che celebro in cimitero alle dieci. Ho avuto immediatamente la disponibilità della signora Giovanna che è il Toscanini del mio gruppo corale. Abbiamo superato qualche difficoltà per il trasporto – perché il cimitero, come tante altre parti della città, non è servito dagli autobus dell’ACTV – mediante la disponibilità di due miei coinquilini, Primo e Rino i quali, facendo la spola “Don Vecchi-cimitero” trasportano soprani, contralti, organista e maestro del coro, tutta gioventù che ruota attorno agli ottant’anni.

Fortuna mia e loro, essendo i canti facili e “cantabili”, tutta l’assemblea, se non altro per un motivo di tenerezza verso tanta veneranda età, si lascia coinvolgere e canta; qualche anziano si è unito da volontario e la signora Buggio fa da soprano solista, pur potendo essere considerata una nipotina con i suoi quarant’anni. Nino, il violinista novantenne, ogni domenica giunge in bicicletta col violino a tracolla, accompagna il coro, assieme all’armonium suonato dalla signora Dolens, e in altri momenti si esibisce con i virtuosismi che, in tempi andati, strappava gli applausi dei “foresti” e dei veneziani, quando suonava al “Lavena” o al “Quadri” in Piazza San Marco; adesso fa ancora venire i brividi e fa sognare la beatitudine del Paradiso.

Domenica scorsa la chiesa era gremita, com’era gremito il porticato antistante la porta principale. Dicono che le chiese sono deserte e che poca gente va a messa la domenica, ma se penso alla mia chiesa mi vien da concludere che bisognerebbe che le prediche fossero più corte e più sostanziose, la liturgia più curata e l’animazione più accattivante e più consona all’incontro col buon Dio che ci viene a visitare.

Mi son permesso di scrivere tutto questo perché non voglio essere il solo a beneficiare di questa “ricetta”, almeno “provare per credere!”

La dolce e fiduciosa cornice del primo mattino

Il primo pensiero, dopo il tormentato sonno notturno, mentre la sveglia non ha ancora smesso di suonare le cinque e trenta, è sempre lo stesso: “Signore aiutami”. Ogni giorno è per me un’avventura, ma anche nello stesso tempo una “battaglia”. Ora più che mai sono consapevole della mia fragilità.

Gli psicologi pare abbiano scoperto che la terza età è un tempo di portento e di meraviglia, io però rimango del parere dei nostri antichi romani, i quali avevano sentenziato “Senectus, ipsa morbus”, la vecchiaia è di per se stessa una malattia invalidante!

Segue alla preghiera del risveglio la pulizia personale e quindi la recita del breviario, per giungere alle 7, quando suor Teresa mi porta “Il Gazzettino” e mi scalda il caffelatte.

Recito il breviario nella stanzetta d’ingresso che mi fa da cucina e nello stesso tempo da salotto. Ora che è bella stagione tengo aperta la porta che si apre sulla piccola veranda, che ha il bordo del muretto tutto pieno di petunie multicolori ed una spalliera di gelsomino.

Talora, per preparare lo spirito alla lode del Signore, esco sulla veranda ad ammirare il cielo, a sentire la voce del silenzio, a vedere i merli in redingote nera e i gabbiani in bianco che passeggiano disinvolti e felici nel grande prato di levante. D’istinto mi vengono in mente le parole di Gesù: “Guardate gli uccelli dell’aria e i fiori del campo!” I primi vivono felici, pur non preoccupandosi troppo di che mangiare, i secondi vestono da re, senza andare in boutique!

Rientro quindi in casa per la preghiera del mattino, di mezzogiorno e della sera, al Signore dico tutto d’un fiato la mia riconoscenza, la mia fiducia e il mio abbandono in Lui. Mentre prego, il ciclamino profuma ed accompagna in cielo il tutto, anche quando leggo vecchie storie di guerra e di sangue, intrighi, soprusi e malefatte di tempi lontani; anche quando ripeto le parole di un piccolo popolo che si credeva al centro del mondo e che spesso tentava di ricattare anche il Signore.

Alle sette e venti esco per andare nella mia cattedrale tra i cipressi, ove la cornice è più seria, ma non meno dolce e fiduciosa.

Corsi e ricorsi

Ho notato, con felice sorpresa, che quando l’Annunziata, la giornalista di Rai3, intervista una persona di grosso spessore umano, prende un atteggiamento cortese e rispettoso. Mi pare che questa donna tenga conto del detto popolare “Scherza con i fanti e lascia stare i santi”.

L’ultimo dibattito a cui ho assistito, è stata l’intervista fatta a Bonanni, il segretario della CISL, sull’accordo per la fabbrica della Fiat a Pomigliano. L’Annunziata in questa occasione è stata, come sempre, arguta, stuzzicante, sorniona, puntuale ed intelligente, ma estremamente rispettosa; m’è sembrato che nutrisse un naturale rispetto per il sindacalista pacato, saggio, libero e corretto. In questa occasione, come in altre simili, m’è parsa perfino più donna e più bella!

Bonanni, pur evitando ogni polemica e tenendo aperta la porta alla CGIL, m’è parso un uomo saggio, deciso, libero e coraggioso, offrendo criteri realistici per una lettura della situazione del nostro Paese e quella del mondo e, da persona di buon senso e con i piedi per terra, ha difeso l’accordo raggiunto, pur temendo che esso non sia portato in porto a causa della faziosità del sindacato della sinistra.

Son passati tanti anni da quando la CISL ha dovuto rompere con la CGIL perché asservita al partito comunista e cinghia di trasmissione tra il mondo del lavoro e il partito, però pare che la Fiom, ancora una volta, voglia dare una mano al partito di Bersani che si muove con affanno e specializzandosi nel dire sempre di no, opponendosi disperatamente ad ogni collaborazione con il Governo.

Oggi, come allora, qualche “comunistello da sagrestia” tenta di puntellare la barca arrogante e presuntuosa, nonostante le dure batoste e il bisogno di sentirsi chiamare “compagno”! Tutto questo, mentre perfino Putin va in chiesa ed abbraccia il Patriarca di Mosca.

Un “fioretto” fortunato

Recentemente ho avuto, a Villa Querini, un colloquio quanto mai importante per la vita del “Don Vecchi”, con il dirigente che è il responsabile dell’amministrazione comunale per quanto concerne l’assistenza agli anziani.

Non eravamo soli, perché ognuna delle due parti era accompagnata da una piccola delegazione di tecnici: iI funzionario del comune dalla dottoressa Corsi, che credo sia il tecnico più preparato e soprattutto più appassionato di questo problema; da parte mia avevo il ragionier Candiani, che da una quindicina di anni vive le problematiche del Centro, e dalla signora Cervellin, che fino a poco tempo fa ha guidato tutto il personale infermieristico dell’Ospedale dell’Angelo, donna di una logica stringente, accompagnata da una calda familiarità.

Il motivo del contendere: il mantenimento, quanto più a lungo possibile nella residenza protetta, degli anziani in perdita di autonomia. Io a sostenere che senza personale adeguato la cosa era impossibile, il rappresentante del Comune preoccupato della situazione finanziaria del Comune, non certamente rosea, pur sapendo che per ogni anziano al “Don Vecchi”, il Comune eroga un euro e venticinque centesimi al giorno, mentre in casa di riposo la spesa è di 50 euro più 50 della Regione.

Io ho premesso che andavo all’appuntamento nel convincimento e con la volontà di cercare assieme una soluzione possibile. Il “duello” è avvenuto armati ambedue di “fioretto”, ma muniti di corpetto e di visiera, perché in ambedue c’era l’intenzione di non “ferire” l’altro.

Ci fu un “assalto”, però sempre corretto, ma deciso. Credo che se dovessi dare un punteggio, dovrei dire che l’incontro si è risolto alla pari; ognuno, credo che sia rimasto soddisfatto di come ha portato avanti le sue tesi e di certo nessuno ha arretrato di un millimetro. Ambedue abbiamo portato avanti le nostre tesi, convinti di dover raggiungere il meglio e il possibile. Alla fine entrambi abbiamo delegato i tecnici a tradurre in numeri e in cifre l’operazione comune.

Al momento in cui annoto nel diario quest’incontro, non sono in grado di misurare gli obiettivi raggiunti o meno; di certo il discorso sulle dimore protette per anziani ha fatto un passo avanti ed io e il dottor Gislon ci siamo conosciuti meglio come persone che non mollano facilmente, ma che dialogano, magari in maniera dura, ma onesta.

Una croce sempre più difficile da portare

Confesso che sento sempre di più il peso del comando. Io, pur avendo ben chiari gli obiettivi e pur perseguendoli con tenacia, con determinazione e sempre disposto a pagarne il prezzo, non ho il coraggio e forse la forza per tenere in riga i vari “colonnelli”.

Spesso, anche con le più buone intenzioni, avendo essi una visione parziale dell'”azienda”, finiscono per combinarmi dei guai e mettermi nei pasticci. Purtroppo lo spirito gerarchico nel mondo dei volontari, non dico che sia tenue, ma spesso è inesistente. Ognuno pensa al suo orticello, ognuno persegue l’interesse del suo comparto e, non avendo una visione globale del problema, crea disagio, contrapposizioni che molto di frequente nuocciono alla causa ultima.

Papa Giovanni XXIII era un uomo mite e aveva come obiettivo questa virtù; quante volte non citava la frase di Gesù “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. Però, contemporaneamente, lo stesso “Papa buono” citava la frase strategica della sua guida pastorale: “Miles pro duce et dux pro victoria”, iI soldato deve stare agli ordini del comandante e questi deve essere totalmente impegnato e deve impegnare i suoi subordinati e perseguire il successo, l’obiettivo fissato.

Recentemente Obama ha licenziato il comandante in capo del suo esercito in Afghanistan perché egli non condivideva la strategia della Casa Bianca. Ma Obama ne avrà avuti altri trenta generali che sognavano di diventare comandante in capo, mentre io non ho quasi nessuno disposto ad addossarsi una nuova croce; devo far quadrare il bilancio con la gente che ho! Il cardinale Urbani era solito dire in proposito che anche quando aveva una bella candela, non aveva il bossolo adatto. Io mi reputo già fortunato, nonostante tutto, d’avere un volontariato consistente, pur dovendo ammettere che provo la fatica di Sisifo nel farlo andare d’accordo, nel non permettere che non si travalichino confini delle proprie competenze, che non si ricatti minacciando di andarsene.

Come capisco quel Papa che avendo avuto la maggioranza dei voti dei cardinali elettori, alla richiesta se accettava la nomina, rispose : «Accetto di portare la croce». Finora ci sono riuscito anch’io, ma non so fin quando ci riuscirò.

Proverò anch’io la “cerca” modernizzata!

Quando a maggio sono stato in pellegrinaggio, con i residenti del “Don Vecchi”, al santuario della Madonna dell’Olmo a Thiene, ho avuto il piacere di incontrare e dialogare un po’ con un ragazzo del nostro quartiere, che ha mollato tutto, s’è perfino “liberato” del gruzzolo che aveva messo da parte, per vedere se era adatto a seguire le orme del poverello d’Assisi, san Francesco.

Chiesi, com’è naturale, come si trovava e che cosa faceva. Tra l’altro mi disse che si occupava della mensa dei poveri, com’è tradizione in quasi tutti i conventi dei cappuccini. Il discorso si allargò perché ero, e rimango, interessato a scoprire come si possono trovare gli approvvigionamenti, essendo questo un grosso problema per il Banco alimentare del “Don Vecchi”. Lui mi disse che c’era un frate addetto alla “cerca”. La frase dapprima mi evocò il personaggio dei Promessi Sposi, fra Cristoforo, che s’era imposto questa penitenza per espiare i suoi trascorsi non tutti virtuosi, poi mi ricordai di un fraticello francescano che fino ad una trentina di anni fa passava per le calli di Venezia a raccogliere e mettere nella bisaccia che portava a tracolla le elemosine dalle donne dei vari quartieri.

Il nuovo giovane amico mi disse che nel suo convento la cerca s’era aggiornata, il fraticello addetto partiva col suo motocarro e andava presso i suoi “clienti”, un “portafoglio” che il frate precedente aveva acquisito e trasmesso a lui.

Questo episodio mi diede un’idea! Anch’io ho la necessità di raccogliere almeno due milioni di euro; finora ho fatto la cerca alla vecchia maniera, stendendo la mano mediante “L’incontro” e portando a casa “pan vecchio e alimenti di poco conto”. Penso che sia giunta l’ora di aggiornarmi, di fruire del portafoglio di clienti che ho acquisito in questi ultimi quarant’anni: Chisso per la Regione, il sindaco Orsoni per il Comune, Segré per la Fondazione Carive, l’Associazione Industriali di Venezia, il Banco San Marco, la Banca Antonveneta e qualche altro.

A quanto mi disse l’aspirante frate della Madonna dell’Orto, il suo confratello che modernamente va alla cerca col motocarro da clienti prestabiliti porta a casa una quantità di alimenti. Speriamo che la cosa funzioni anche nel mio caso!

“Non frequentava, ma credeva”

Mi par d’aver ripetuto che in occasione del sermone che tengo durante le messe di commiato, evito i panegirici o le orazioni funebri, tentando di passare invece qualche verità fondamentale, che mi pare che i fedeli non conoscano più perché le nuove generazioni hanno passato il tempo del catechismo facendo cartelloni, o tutt’al più qualche recita biblica. Però, pur perseguendo questo obiettivo, mi pare giusto, sotto ogni punto di vista, avere un’idea, seppur minima, del morto per cui celebro il commiato cristiano.

Nel tempo, mi sono creato una serie di domande sommarie e discrete da porre ai parenti, per non dir cose che proprio non ci stanno, in modo d’aver un’idea, seppur minima, del soggetto, per adoperare il tasto della speranza piuttosto che quello della misericordia del Signore. Tra queste veloci e sobrie domandine, mi pare non possa mancare quella se il defunto era una persona religiosa. Pare che la gente abbia raggiunto un accordo sociale a livello globale. La risposta pronta e convinta è quasi sempre questa: «Non frequentava, ma credeva». Talvolta: «Era un buon credente anche se non andava in chiesa come certuni». E s’aggiunge quasi la commiserazione e il malcelato disprezzo per i praticanti.

Di certo è un bel problema farci stare dentro agli otto minuti di predica l’idea che è ben difficile conservare o acquistare una fede viva, che innervi la vita, senza confrontarsi con i fratelli, senza ascoltare la parola del Maestro, senza alimentare la fede come si alimenta l’amore, con parole, gesti, tensioni interiori, confronti, senza una dimestichezza di rapporti con la persona amata. Io tento di fare del mio meglio, ma ci vorrebbero almeno trenta-quaranta morti all’anno della stessa famiglia per fare una catechesi cristiana abbastanza decente. Per fortuna, o per disgrazia, ciò capita circa ogni circa dieci anni, per cui temo che ci si dimentichi anche quel po’ che ho tentato di passare la prima volta. Mi consola però la certezza che a questo scopo il buon Dio non ha solamente a disposizione la predichetta del funerale!

Solidarietà: chi protesta e chi dialoga; io vado avanti!

In una notizia apparsa sul “Gazzettino” di alcune settimane fa, non so se giustamente o meno, m’è sembrato di leggere che il vicesindaco, nonché assessore, tra l’altro, alla sicurezza sociale, prof. Simionato, fosse intervenuto ad un’assemblea tenuta in ambienti della parrocchia di San Pietro Orseolo, assemblea in cui alcuni cittadini avevano protestato in maniera violenta contro l’andirivieni di poveri che nel pomeriggio dalle 15 alle 18 vengono al “Don Vecchi” per ritirare indumenti, generi alimentari e mobili.

Il giornalista, tra l’altro, pareva riferisse che il prosindaco aveva promesso di regolamentare tale afflusso al “Don Vecchi” non visto di buon occhio dai suddetti residenti. Molto probabilmente si trattava degli stessi residenti che un tempo s’erano opposti, riuscendoci, alla costruzione di case popolari, quindi s’erano opposti alla costruzione del “Don Vecchi due”; infine, quando al “Don Vecchi” si pensò di creare un Centro per anziani non autosufficienti nell’ex cascina Mistro, si opposero col pretesto di voler costruire un Centro giovanile. Quando poi il “Don Vecchi” rinunciò al progetto perché la struttura sembrò non idonea, e perciò avevano la possibilità di costruire quel Centro giovanile, non si sa perché, desistettero dall’impresa.

Ora, molto probabilmente, temendo che si attui il sogno della “Cittadella solidale” si sono rifatti vivi. Queste reazioni non mi interessano per nulla perché chi non accetta i più poveri e i più deboli, non solo non ha le mie simpatie ma, meno ancora, la mia stima, come uomo, come cattolico, come cittadino e come cristiano. Però che il vicesindaco avesse abbracciato questa causa non m’andava proprio giù.

Quando questo amministratore mi chiese un colloquio, ci andai con spirito quanto mai bellicoso. Incontrando però il dottor Simionato, l’indignazione sbollì come per incanto, in quanto egli mi disse che per coscienza, cultura e convinzioni personali, non aveva che stima per quanto andiamo facendo al “Don Vecchi” per i poveri.

L’incontro servì anche per fare un giro di orizzonte sui problemi sul tappeto – anziani in perdita di autonomia, “Don Vecchi” di Campalto, “Cittadella della solidarietà” e generi alimentari in scadenza – trovandoci d’accordo su tutto il fronte.

Sono grato all’assessore, nonché vicesindaco, per la ritrovata intesa con la civica amministrazione e per la volontà di lavorare in maniera sinergica a favore dei meno abbienti. Per quanto riguarda i concittadini, posso rassicurarli che tento di avere rispetto per tutti, ma grida, firme e quant’altro non mi scompongono affatto, quello che ritengo giusto e doveroso lo perseguo nonostante tutto e credo d’averla finora sempre spuntata.

Come sarebbe bella una società senza il peccato!

Credo che ognuno, quando legge un testo che racconta un episodio di vita, sia pronto con la fantasia a crearsi attorno ciò che ha letto una ambientazione che incornicia l’evento e lo immagini seguendo le suggestioni della sua sensibilità e della sua cultura.

Stamattina ho letto, durante la messa, l’episodio del paralitico calato dal tetto da quattro generosi volontari, che non riuscendo ad entrare nella casa in cui si trovavaa Gesù, a causa della calca di gente che ostruiva il passaggio, con decisione presero la coraggiosa iniziativa di calare il malcapitato dal tetto. Spesso, commentando l’episodio evangelico ho parlato del dovere della solidarietà, del senso della partecipazione, della pietà di Gesù e della dimostrazione della sua divinità, avendo Egli operato una guarigione naturalmente impossibile.

Quest’anno, nella mia fantasia, ho messo in moto l’immaginazione prima nel pensare al volto di quell’infelice alle parole: «Ti siano rimessi i tuoi peccati». Mi è stato facile pensare allo stupore, alla delusione, alla tristezza, allo scoramento e forse alla stizza di quel malcapitato a cui può darsi non interessasse la faccenda dei peccati, come d’altronde anche alla gente del nostro tempo non interessa più di tanto la “facezia” del peccato, che spesso è considerato come l’espressione di certi tabù del passato e, peggio ancora, considera una “manna” poter cogliere le cose piacevoli della vita.

Poi la ragione mi ha costretto ad approfondire l’argomento, concludendo, senza troppa fatica, che il peccato è causa di tutto il disordine interiore e della società, crea malessere nella coscienza della persona e tutti i malanni che la cattiveria e la trasgressione fatalmente mettono in moto nel vivere sociale, facendomi concludere che di certo era giusto quello che Cristo volle affermare, che cioè una società senza peccato sarebbe veramente la più bella e la più felice delle società.

Mi sono sforzato di trasmettere questo concetto mediante il sermoncino che ho tenuto ai devoti, ma poi ho pensato che potevo anche risparmiarmelo perché, per l’età e le condizioni, i miei fedeli non avrebbero avuto nemmeno la possibilità di tentare di cogliere “i fiori del male”.

La società civile riscopre la visita casa per casa che i preti hanno dimenticato!

Qualche giorno fa, prima ho letto sul “Gazzettino” e poi, il giorno dopo, ho ascoltato alla radio, una notizia piuttosto singolare. Il sindaco di Meolo, un paesotto ad una ventina di chilometri da Mestre, aveva scoperto che per conoscere meglio i suoi amministrati e stabilire con essi un rapporto più costruttivo, era una buona idea andarli a visitare nelle loro case, piuttosto che attenderli nel suo ufficio nella Casa Comunale.

La notizia ha sorpreso gli operatori dei mass-media per un verso, ossia perché è piuttosto insolita una soluzione così intelligente e democratica come questa del primo cittadino di Meolo. Io invece sono rimasto sorpreso per un altro verso, per il fatto che quella che era una vecchia prassi adottata da quasi tutti i parroci anziani, e poi abbandonata col pretesto che fosse vetusta e superata, ora quasi completamente abbandonata dalle nuove generazioni di ecclesiastici, sia stata riscoperta a livello civile tra il plauso, non solamente dei concittadini amministrati, ma dall’opinione pubblica più avanzata, come soluzione d’avanguardia che attua il principio “porta a porta” e del contatto personale, come ormai sta avvenendo per le competizioni elettorali anche nei grandi Paesi del mondo.

Povere parrocchie, ma soprattutto poveri preti: assumono la prassi retributiva dei Paesi socialisti, quando questi le hanno abbandonate perché favoriscono il disimpegno e la tentazione di non far nulla e abbandonano prassi consolidate e sicuramente efficaci benché impegnative e faticose.

Proprio in questi ultimi tempi il “Datore di lavoro dei sacerdoti” ha fatto, attraverso la pagina del Vangelo domenicale, alcune affermazioni piuttosto ostiche ma precise a proposito dei suoi aspiranti discepoli: «Gli uccelli hanno i loro nidi e le volpi le loro tane, ma il figlio dell’uomo non ha neppure una pietra su cui posare il capo» – «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» – «Chi pone mano all’aratro e poi si volta indietro è adatto per il Regno».

La figura del prete ieri e oggi

Quasi mai mi capita di invidiare il mestiere o la professione degli altri. Molto spesso invece sento di dover compatire chi per tutta la vita è stato costretto a compiere un lavoro ripetitivo, monotono o nel quale puoi mettere assai poco del tuo, o averne una gratificazione a livello umano. Forse gli unici che non compiango sono i medici, gli architetti o anche gli artigiani.

Mio padre, ad esempio, talvolta mi mostrava i serramenti di una casa facendomi osservare con legittimo orgoglio “quei serramenti li ho fatti io”; in genere si trattava di imposte che presentano delle difficoltà particolari per realizzarle. Ci sono però dei lavori manuali, ma anche di ordine intellettuale, talmente aridi per cui l’unica soddisfazione diventa lo stipendio che permette ad uno di vivere e di mantenere la propria famiglia.

Fare il prete, almeno come io intendo questa missione, è veramente una “professione” meravigliosa che impegna sentimento, pensiero, ricerca, rapporti umani, proposta per la vita, lettura del mistero dell’oggi e del domani. Fare il prete significa partecipare, condividere, accompagnare l’uomo nei passaggi più impegnativi della propria esistenza.

Quanta ebbrezza, anche se sofferta, è poter proporre utopie, nuove frontiere, ideali e valori umani durante un sermone! Quanta emozione interiore è prestare le parole e il cuore per accomiatarsi da una persona che lascia i propri cari! Quanto piacere nel poter indicare ad una coppia di giovani innamorati orizzonti nobili e splendidi per il loro domani! Quanta emotività interiore nel poter condividere i drammi della vita!

Quando ero giovane prete non di rado mi capitava di incontrare chi compativa la mia scelta di vita, perché la pensavano anormale e sacrificata. Ora non più. Per me che sono vecchio la cosa può essere comprensibile, ma mi pare che la gente non si curi più di tanto neanche dei giovani preti.

Io sono vissuto in un tempo in cui la letteratura e la società erano quasi sorprese, incantate o in rifiuto del mistero del prete. Ora pare che il problema del sacerdote non interessi più, non so se perché la società non si pone più problemi o perché il prete non pone più problemi alla società in cui vive.

Solidarietà chiusa per ferie

Siamo alle solite. Finita la scuola il mondo nostrano entra nel periodo delle vacanze. Crisi o non crisi, bisogna andar via, o perlomeno far finta di andar via!

Io che sono abitudinario e perciò non amante delle variazioni dei ritmi della mia vita, non amo le vacanze e non vado in vacanza, anche se il nostro Patriarca ha detto che le vacanze non sono un diritto ma un dovere! Confesso però che mi è più difficile e faticoso giustificarmi del mancato assolvimento del dovere delle vacanze, nonostante l’impegno evangelico della povertà e del fatto che siamo in un periodo di crisi e che tutti dicano che operai, impiegati e classi medie non arrivano alla fine del mese.

Questo però è per me un problema marginale, perché ormai mi sono così abituato ad essere solo e controcorrente. Ciò che invece mi dispiace è che proprio nel periodo in cui tutti, o almeno tanti, vanno in vacanza, si chiudono le mense dei poveri e i punti di distribuzione dei viveri. Ciò vuol dire che i poveri diventano ulteriormente più poveri.

Da mezzo secolo combatto questa battaglia, mi sono inimicato i responsabili degli enti caritativi e sono stato sonoramente battuto. Quest’anno mi trovo ad essere responsabile di “Carpenedo solidale”, l’ente più grosso del settore, l’ente che assiste il numero di poveri più consistente di tutti gli altri enti cittadini del settore. Ho convocato il responsabile, perché la coscienza ha cominciato a tormentarmi. Ho insistito che almeno in questo settore, magari un gruppo ristretto di volontari mantenesse l’erogazione dei generi alimentari alle tre-quattromila persone che bussano alla nostra porta ogni settimana.

Non c’è stato niente da fare. Da qualche anno le vacanze estive sono state proclamate da cristiani e non cristiani l’undicesimo comandamento al quale non si possono far deroghe.

Per fortuna sono arrivato fortunatamente ad un compromesso abbastanza onorevole. La chiusura durerà due settimane, l’ultima settimana prima delle fatidiche vacanze si consegnerà un quantitativo doppio di generi alimentari. M’è parso di dover accettare questo compromesso senza arrivare, come sindacati e Fiat, ad un referendum tra i volontari.

La lezione della statua di Giano bifronte

I romani, nel loro pantheon, fra le tante altre divinità, avevano la statua di Giano bifronte. Un tempo pensavo che questo dio trovasse spazio nella fantasia primitiva di un mondo mitologico, mentre ora trova spazio soltanto nel mondo della fantasia e della favola.

Oggi però non butterei via del tutto la statua di Giano bifronte, che ci ricorda che la realtà ha sempre due facce. Al tempo di Guareschi, “il padre” di don Camillo e di Peppone, era abbastanza consueto leggere “visto da destra” e “visto da sinistra”, due versioni dei fatti diverse e molto spesso perfino contrapposte. Erano però i tempi in cui discutevano di politica non solamente deputati, senatori, segretari di partito – che fanno i politici a busta paga con redditi astronomici – ma anche la povera gente. Oggi, mi par di aver capito che è bene non dimenticare del tutto Giano bifronte e il “visto da destra e da sinistra”, perché molto spesso i mass-media di una tendenza o di un’altra sono così persuasivi che finiscono per condizionarti in maniera determinante.

Fino a qualche giorno fa ero convintissimo che avessero torto magistrati, giornalisti e sinistra nell’insistere sulle intercettazioni telefoniche esasperate.

A supporto di questa convinzione adducevo il discorso della privacy, del costo milionario e del fatto che Stati Uniti, Francia, Germania ed Inghilterra non raggiungevano il numero di “guardoni” delle intimità degli italiani, pur avendo una giustizia più funzionante della nostra; sennonché un amico che stimo e a cui voglio bene, mi ha fatto osservare l’altra faccia di Giano bifronte, dicendomi che in Italia c’è meno senso dello Stato, che gli italiani sono per tendenza atavica trasgressivi e che l’intreccio tra mafia, affari e politica è molto più forte che in altri Stati per cui c’è necessità di un’indagine più costante e più intensa. Di fronte all’onestà intellettuale dell’amico non potevo che prender atto della complessità del problema, motivo per cui, nonostante siano passati quasi duemila anni, non sarà male che mi ricordi che la realtà non ha solamente due facce, ma più ancora.

La collaborazione fra Comune e privato sociale è un bene prezioso

Per molti anni, soprattutto quando la sinistra era “pura”, cioè non annoverava nelle sue fila solamente qualche “comunistello di sagrestia”, avevo la netta sensazione che i cattolici fossero considerati come cittadini di serie B, perché pareva che la sinistra pensasse di possedere il monopolio della democrazia, della resistenza della cultura, del progresso, della libertà, dell’economia e di tutti i valori importanti della vita. Allora amministrazioni del nostro comune evidentemente si adeguavano a questi orientamenti nazionali, motivo per cui sembrava che il Comune dovesse gestire direttamente tutto e perciò non ci fosse più alcuno spazio per le parrocchie, per il privato sociale, per le organizzazioni di base. Dottrina che in pochi decenni si dimostrò onerosa, farraginosa e fallimentare.

In quel tempo io, che ho sempre voluto essere partecipe alla vita sociale, elaborai nel mio piccolo una dottrina che permettesse il confronto, o perlomeno la sopravvivenza di tutto l’apparato solidale che si rifaceva alla Chiesa, e per quanto sono stato capace, mi sono impegnato fino allo spasimo per creare una organizzazione parallela che si rifacesse ai valori portati avanti dalla Chiesa.

Il crollo del muro di Berlino non fu rovinoso solamente per quelle maledette ed insanguinate pietre di confine, ma per tutta la dottrina, la prosopopea e l’apparato pigliatutto della sinistra. Quando fui ben certo di questo, sempre nel mio piccolo, cominciai una mia politica di collaborazione critica, ma fondamentalmente sinergica con l’amministrazione pubblica.

Per il settore che mi riguarda, la collaborazione con Bettin e Cacciari mi pare sia stato quanto mai proficua. Tuttora perseguo questo indirizzo, nonostante la burocrazia comunale, che è perfino più tarda della politica, presenti ancora qualche difficoltà per un impegno paritario.

Vi sono dei problemi che è opportuno risolvere assieme, o perlomeno tentare delle soluzioni innovative di comune accordo. Talvolta però ho ancora la sensazione che la burocrazia comunale tenti di porsi in posizione di privilegio e di padronanza, piuttosto che di servizio e di incoraggiamento al privato sociale che è più snello, ha certamente più inventiva, è più economico, ma che ha pur bisogno della “mano secolare” per realizzare più velocemente e meglio il servizio a favore degli ultimi. Voglio però giocarmi sulla speranza!

Dove punta la bussola della religione oggi?

C’è un pensiero che mi tormenta come un tarlo e non mi dà pace. Mi spiace e nello stesso tempo sono felice che proprio ora, che sono nei tempi supplementari, mi accorga che i criteri con cui, ormai da molto tempo, si qualificano i discepoli di Gesù, non solo sono difettosi, ma forse falsi.

Ricordo che nei tempi ormai remoti in cui leggevo avidamente Emilio Salgari,  in uno dei suoi innumerevoli romanzi (forse “Capitano a quindici anni”) il timoniere scoprì che la rotta seguìta non era quella giusta, perché qualche marinaio galeotto aveva collocato vicino alla bussola di bordo una massa ferrosa che condizionava in maniera determinante la lancetta della bussola. La bussola segnava il nord, ma era un segnale falso, perché in realtà la rotta reale era quella del sud e quindi non avrebbe mai condotto il veliero in porto.

Il tarlo della mia analisi sulle qualità della religione oggi, mi fa sospettare che il criterio di orientamento sia profondamente falsato. La bussola della religione indica che la salvezza si ottiene tenendo la barra del timone a nord, ossia dicendo le formule della preghiera, andando a messa, dichiarandosi cristiani, mentre In realtà quella indicazione è assolutamente mendace, perché quello indicato non è il vero nord (ossia l’amore a Dio misericordioso, giusto, che ama i pacifici, gli uomini che lo cercano con cuore sincero, che sono solidali, veri, autentici, liberi e perseguono con ogni mezzo la redenzione), ma il sud, ossia una rotta che non si rifà né al bene di Dio, né a quello dell’uomo, ma soltanto una indicazione sfalsata per motivi di tradizione, di vantaggi di qualcuno, semplicemente di comodo.

Credo che i criteri di distinzione tra buoni e cattivi, tra credenti ed atei, tra vicini e lontani, tra praticanti e credenti, vadano verificati in maniera seria e sincera. Infatti sta scritto: “Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio” ed è certo che la volontà del Padre è certamente quella che prima di tutto siamo onesti, ci vogliamo bene e ci aiutiamo a vicenda.

Oggi ho paura di non aver capito per tempo chi siano quelli che “Dio ama”.