Le badanti

Quando io ero bambino, nel mio paese di campagna c’erano ancora famiglie di contadini composte da trenta, quaranta persone. I vecchi morivano in casa, serviti e riveriti da figli, nipoti e nuore, Non vivevano in Paradiso neppure i vecchi di sessanta, settanta anni fa, perché la povertà rendeva difficile la vita, ma non si sentivano certamente soli e abbandonati.

Ora ai vecchi sono riservate due soluzioni: la casa di riposo, oppure la badante. Questa è la sorte di quasi tutti, al di fuori dei pochi privilegiati dei Centri don Vecchi.

Le case di riposo sono assai costose e perciò guardate con estrema preoccupazione, ma anche quando qualcuno riesce ad entrarci, la vita è anonima e in mano a mercenari. La badante è, tutto sommato, una soluzione migliore, quando l’anziano è fortunato e gli capita una donna di cuore.

Talvolta, facendo il funerale di questi derelitti, vedo che la badante è la più addolorata, o perché si era affezionata al vecchio vivendo assieme da mattina a sera, o perché, purtroppo, perde il lavoro.

Di frequente i nostri vecchi non sono troppo buoni con queste creature che tentano di sfuggire alla miseria dei loro Paesi; le ritengono a torto la causa dell’allontanamento dei figli. Ultimamente però mi sono imbattuto in alcuni casi nei quali l’anziana assistita ha fatto testamento a favore della badante. Questa soluzione, se annunciata per tempo, potrebbe rendere meno amara la condizione dei nostri vecchi.

“Congedali!”

Non ricordo più se sia stato l’apostolo Filippo o Andrea, o se fossero tutti e due che, vedendo la fame della folla che da un paio di giorni ascoltava Gesù, gli consigliarono di congedare tutta quella gente perché potesse approvvigionarsi personalmente.

Gesù non fu dello stesso parere. La tentazione di “scaricare” i poveri è ancora ben presente tra i discepoli di Gesù. Qualcuno si rifugia ancora tardivamente sulla concezione marxista che è l’ente pubblico che deve provvedere a tutti i bisogni dei cittadini, e non s’è ancora accorto che neanche il comunista più convinto afferma ancora questa dottrina, fallita più rovinosamente del muro di Berlino.

E’ un pretesto bello e buono chiudere il cuore e la porta quando il povero tenta di coinvolgerti nelle sue difficoltà. Oggi anche tra le amministrazioni vetero-comuniste questa dottrina è abbandonata se non altro perché troppo onerosa ed impossibile.

Oggi si parla di sinergie tra l’ente pubblico e il privato sociale. Questa virata di bordo così radicale da parte dei Comuni impegna maggiormente il privato sociale del quale le parrocchie dovrebbero essere la punta di diamante.

Scaricare il povero è sempre una bestemmia contro la società e contro la fede.

L’infallibilità non è cosa di questo mondo

Il cardinale Scola, il nostro vecchio Patriarca, era un po’ propenso alle sentenze e alle immagini che facevano colpo. Talvolta erano pertinenti ed efficaci, ma tal’altra facevano cilecca.

Disse un tempo, con una certa prosopopea: «Le vacanze non sono un diritto, ma un dovere». Spero, non essendo mai stato d’accordo in proposito, di non essere accusato di eresia. Io non credo che vacanze, orario di lavoro, riposi, siano diritti sindacali dei preti e facciano parte della tradizione o della prassi dell’ascetica sacerdotale, ma siano invece fughe per la tangente dall’impegno sacerdotale. Né sono d’accordo con quei frequenti suoi discorsi sulla “pratica del gratuito”. La frase suona bene ed è assai moderna, ma io credo molto di più a chi fa l’elemosina e pratica la carità semplicemente.

Dato poi che sono sull’argomento, vorrei aggiungere che non credo punto a quelle prediche che parlano con squisita eloquenza della “carità soprannaturale”; ad esse preferisco di gran lunga lo sporcarsi le mani per i poveri, anche se questo impegno non risolve i problemi alla fonte.

Un giorno ho presentato ad un qualificato prelato della diocesi gli operatori della solidarietà parrocchiale, ma con costernazione di tutti, e mia in particolare, questo prelato affermò che la vera carità sta nello scoprire il volto amabile di Gesù. Cosa c’entrasse e volesse dire non l’ho ancora capito!

Ideali con le gambe

Ho già scritto di ciò che l’onorevole Vincenzo Gagliardi, l’ex dirigente dell’Azione cattolica veneziana prestato al partito della Democrazia Cristiana, mi ha insegnato tanti anni fa. L’onorevole deputato mi disse un tempo che passano ed attecchiscono solamente i valori che hanno le gambe! Quando gli chiesi ciò che significasse questo discorso per me ermetico, mi rispose che incidono nella coscienza dei cittadini solamente i discorsi e i messaggi vissuti da chi li offre agli altri.

Questa formula la adopero da allora come la prova del nove nei riguardi dei politici, uomini cultura, sociologi, preti o vescovi che siano. Quando li vedo coerenti a quel che dicono, mi levo tanto di cappello e mi lascio mettere in discussione, però quando incontro il parlamentare di sinistra con lo yacht, il monsignore con la BMW, che parlano con enfasi di carità o di solidarietà, definisco subito questi discorsi come “aria fritta” e specchi per le allodole; e perciò mi volto dall’altra parte.

Passato e futuro della carità

Il cardinale Scola mi pare abbia stimmatizzato l’inattività e il piangersi addosso dei veneziani, invitandoli a credere in se stessi ed a giocare il ruolo che loro compete, avendo alle spalle la tradizione gloriosa della Serenissima.

Il vecchio Patriarca alle parole ha fatto seguire l’esempio, creando dal nulla una nuova università: il Marcianum.

M’è piaciuto ed ho condiviso la sua scelta di non rimanere ai bordi dei problemi della nostra città e il suo sforzo di essere sempre protagonista negli eventi importanti della città tentando di offrire a tutti i livelli e in ogni circostanza il contributo che attingeva dal pensiero cristiano.

Spero tanto che il nuovo Patriarca gli sia complementare, sviluppando la dimensione orientale della proposta cristiana: la carità, componente essenziale del messaggio di Gesù, rianimando e mettendo in rete strutture e servizi nati nel passato. Noi del “don Vecchi” gli offriamo fin da subito due progetti ambiziosi ed innovativi: “La cittadella della solidarietà”, che è andata a finire nel limbo, e il “Villaggio solidale”, che sta “germogliando” agli Arzeroni. La componente orizzontale della Chiesa veneziana oggi ha particolarmente bisogno!

Il fraticello

Un paio di anni fa un bel ragazzo mi disse che si sentiva chiamato ad impegnare la sua vita per qualcosa che conta davvero. In quella occasione mi donò settantamila euro, la sua ricchezza, perché voleva presentarsi al Signore libero e senza legami. Ho seguito da lontano il suo itinerario religioso ed egli la mia vita di vecchio prete. Ogni settimana gli ho mandato “L’incontro”, è stato il mio piccolo contributo alla sua formazione religiosa.

Un paio di settimane fa Lorenzo mi ha mandato la sua foto, vestito da fraticello francescano, assieme a quella di sei compagni che hanno pronunciato i primi voti di povertà, castità e obbedienza.

Di primo acchito mi è venuto da pensare: “chissà che i frati non lo rovinino!”, perché non tutte le mie esperienze in questo settore sono state esaltanti. Poi ho pensato a Francesco d’Assisi, lieto e povero e l’ho affidato alla sua scuola. Però non ho saputo resistere alla tentazione di scrivergli: «Sii te stesso perché il Signore ti ha fatto unico ed irripetibile!”. Sono sempre stato sospettoso delle “regole” quando tentino di produrre uomini tutti uguali col marchio di fabbrica.

Il nostro tesoro

Venerdì 10 agosto lo studio di architettura Mar-Cecchi-Casaril ha presentato in Comune e in Regione il progetto del “don Vecchi 5”, prima struttura del “Villaggio solidale degli Arzeroni”.

Proprio il 10 agosto la Chiesa celebra il martirio e il messaggio del diacono di Roma san Lorenzo. Questo santo mi è particolarmente caro perché nella chiesa del duomo di Mestre a lui dedicata ho vissuto i primi 15 anni del mio servizio sacerdotale e perché san Lorenzo mi ha fornito una indicazione determinante nel mio modo di impostare il mio sacerdozio.

S. Lorenzo disse, indicando i poveri al prefetto, espressione della società di allora: «Questa è la ricchezza della mia Chiesa». Oggi, con un pizzico di orgoglio, posso anch’io ripetere alla città: «Questa è la mia ricchezza: i poveri!» Di ciò sono felice, spero però di non andare a finire in graticola per questa mia scelta!

Non vado in ferie

In passato non mi costava affatto non andare in ferie durante i mesi estivi. In verità non mi costa neanche adesso, però mi costava alquanto produrre delle scuse per la scelta ideale di non far ferie. La gente non capiva, sembrava una scelta inconcepibile, tanto che finivo per sentirmi quasi in colpa.

Io non vado in ferie per un minimo di coerenza. C’è un mondo di fratelli che sulla terra muore di fame, operai che vivono con 1200 euro al mese, altri in cassa integrazione, altri esodati ed altri infine disoccupati; ed io dovrei andare in ferie perché lo fan tutti?

Un amico di mio fratello don Roberto, che era solito far ferie girando per il mondo, avendo letto che mio fratello – che non fa ferie perché passa l’estate girando le montagne con lo zaino in spalla con gli scout – non condivideva la sua scelta, è arrivato a rompere l’amicizia.

Ogni tanto mi ricordo che Urìa, il soldato di David, che si rifiutava di andare a letto con la moglie – come David, interessato, gli suggeriva affermando: «Come posso io concedermi questo, quando i soldati del mio popolo sono accampati sotto le tende in aperta campagna?»

Ebbene, questo discorso tormenta pure la mia coscienza: ci sono troppi fratelli che soffrono nell’indigenza perché io, prete, possa cedere alla “smania della villeggiatura”.

Lo stesso maestro e discepoli diversi

Un mio collega, che in verità non è la prima volta che afferma di non condividere il mio operato, ha criticato una volta ancora, sul suo periodico, il fatto che io chieda offerte per aiutare i poveri e che io mi adoperi per creare strutture a favore di chi è in difficoltà. Io prendo sempre in considerazione le critiche e perciò ho fatto un serio esame di coscienza.

Ecco le conclusioni: Primo: monsignor Vecchi, che fu mio maestro di vita, diceva che le persone alle quali chiedeva contributi per i poveri dovevano essergli riconoscenti perché li aiutava a far del bene e a guadagnarsi il Paradiso. Io sono ancora di questo parere. Secondo: il mio collega afferma che il prete ha il compito di educare, mentre spetta allo Stato dar risposte e servizi a chi è in difficoltà. A questo proposito Gesù, mio principale, ma anche principale del mio collega, disse ai suoi discepoli – e noi siamo gli epigoni di quei discepoli -«Date voi da mangiare alla folla» e poi, lui in persona, completò l’opera.

Lo stesso Maestro, in altra occasione molto più importante – perché si trattava dei criteri con cui saremo giudicati – disse: «Avevo fame, sete, ero senza vestiti, senza casa, in ospedale e in carcere… e tu?».

Ora il mio collega può pensarla come vuole, ma se vuole pensarla come Gesù, nostro Maestro, sta sbagliando di grosso!

La messa d’estate

Sono stato parroco per 35 anni e per tutti questi anni d’estate e d’inverno nella mia parrocchia il numero e l’orario delle messe festive – estate e inverno – è rimasto inalterato: 8 – 9 – 10 – 11 – 12 – 18 – 19. In più, nel vicino convento delle suore, si celebrava una messa alle 7 ed in cimitero, che è nel territorio della parrocchia, un’altra ogni domenica.

Sentendo talvolta qualche critica di colleghi, ero preoccupato di esagerare e perciò, soprattutto d’estate, contavo le presenze, ma mai siamo andati al di sotto di 70 fedeli per messa, un numero che mi pareva giustificasse la celebrazione.

Forse io sarò stato e sono un maniaco della regolarità e del dovere di servire veramente la comunità però quando, qualche settimana fa, ho letto che in una parrocchia di 4.500 abitanti si celebrava, durante l’estate, una sola messa la domenica, m’è parso che fosse decisamente poco.

Questo è per la messa. Ho però l’impressione che questo criterio sia attuato per tanti altri aspetti della pastorale parrocchiale. C’è stato il caldo, c’è la secolarizzazione in atto, però quello che è poco rimane poco.

L’indotto della crisi

Qualche giorno fa un mio collaboratore mi ha presentato un suo “volontario” che avrà bisogno di un alloggio.

Il breve colloquio preliminare mi ha dato modo di definire subito “il soggetto richiedente”. Da quattro anni e mezzo non paga un affitto convenzionato col Comune a circa 200 euro mensili. Non riesce a trovare lavoro, ha in più, alle sue spalle, una famiglia sfasciata. Le sue figlie vivono con la madre. Negli stessi giorni un signore che mi ha impietosito, mi ha telefonato dicendomi che ha difficoltà a pagare l’affitto, benché i tre mesi precedenti glieli avessi pagati io.

Potrei continuare a presentare casi su casi.

In periodi di floridezza economica questi soggetti riuscivano a campare in qualche modo di espedienti. Ora non più. La crisi ha messo in difficoltà tante aziende, le quali han dovuto chiudere o tirare i cordoni facendo saltare quell’indotto di cui beneficiavano soggetti che in qualche modo campavano sull’efficienza di quelle aziende.

Chi mai, oggi, può assumere qualche soggetto che sia meno che valido? Per mangiare e vestire ancora si trova, ma per dormire è impossibile trovare un posto letto in città.

Avevamo proposto “La cittadella della solidarietà” che prevedeva anche un ostello per le varie gradazioni di povertà. Il progetto è fallito, soprattutto per l’indifferenza dei responsabili della carità della Chiesa veneziana. Ora, al primo incontro col nuovo Patriarca, riproporrò l’iniziativa come una esigenza prioritaria, sperando nel suo appoggio.

La sentenza

L’annullamento del matrimonio da parte dei tribunali ecclesiastici è stato un problema che mi ha sempre lasciato molto perplesso. Teoricamente mi par di aver capito e di condividere che talvolta possano essere compiuti degli atti umani formalmente ineccepibili, ma che nella sostanza mancano di requisiti essenziali, per cui si dovevano ritenere nulli e ininfluenti sulla vita. Ma il meccanismo concreto per questa sentenza impostato secondo gli schemi giuridici, mi ha sempre dato la sensazione di qualcosa di puramente legale che ha poco a che fare con la vita e soprattutto con la fede.

Qualche giorno fa è venuto da me un vecchio amico che mi ha mostrato la sentenza di annullamento del suo matrimonio, nozze che egli ritiene assolutamente valide di fronte a Dio e a cui, in coscienza, si sente di rimanere fedele. Non entro in merito alla sentenza perché non ho né la preparazione né elementi per un giudizio, però da come è redatta e, peggio ancora, per la sua relativa comunicazione, ho avuto la sensazione di qualcosa di talmente freddo, formale, disumano, che di certo non ha assolutamente niente a che fare col senso religioso della vita.

Santa Madre Chiesa credo che tra le tante cose da ripensare, debba fare un pensiero anche a questo tribunale per riportarlo nell’alveo dell’umano e della misericordia di Dio.

L’esercito di Brancaleone

In tutte le mie vicende ho coscienza che l’unico mio vanto è quello di essermi offerto a Dio perché Lui si degnasse di usarmi come suo strumento per realizzare i suoi progetti a favore dell’uomo. Guai se dovessi essere io il responsabile del piccolo e grande polo di carità che opera al “don Vecchi”.

Noi di certo non abbiamo un ufficio di esperti per la selezione del personale. Accettiamo senza alcuna garanzia tutti coloro che si offrono di dare la loro collaborazione. Accanto a uomini e donne che fanno la scelta lucida e generosa di mettere a disposizione qualche ora del loro tempo prezioso a servizio dei fratelli in disagio, c’è un po’ di tutto: elementi mandati dai servizi sociali del Comune per un loro reinserimento, altri inviati dal tribunale per scontare pene alternative al carcere, altri ancora poco “centrati” che il vento sospinge come rifiuti negli angoli morti del “don Vecchi”. Il mio è un autentico esercito di Brancaleone.

Eppure funziona, anzi talvolta è talmente vario e stravagante che finisce per diventare piacevole. Ad agosto abbiamo chiuso per tre settimane per le ferie, ma per molti dei miei operatori questa non è stata una provvidenza ma una condanna a non aver più un rifugio tranquillo ove vivere.

Se non fosse il buon Dio a guidare questa “ciurma” irrequieta e fantasiosa, di certo io non riuscirei a farla funzionare.

Doni intempestivi

Tutti sanno che per poter offrire ogni settimana una borsa di generi alimentari bisogna faticare non poco. Il bussare a tutte le porte, il chiedere aiuto, il “mendicare” sono una necessità quotidiana. Fortunatamente ci siamo fatti un buon nome operando con correttezza e serietà e perciò i supermercati, le aziende del settore alimentare, ci fanno giungere aiuti provvidenziali, ma talora intempestivi. La nostra “catena del freddo” è buona, ma talora congelatori e frigoriferi non bastano.

In questi giorni (diverse settimane fa, NdR) abbiamo avuto la “fortuna” che i congelatori della “Dolciaria mestrina” sono andati in avaria e perciò ci hanno donato 1500 crapfen congelati. Contemporaneamente è arrivato da non so chi un intero furgone di pesce congelato e poiché “piove sempre sul bagnato” ci è pure giunta una grande quantità di mozzarelle giganti che tutti sanno che hanno il tempo contato e perciò abbiamo chiesto al mondo intero di farci il piacere di accettarle in dono.

Sempre in questi ultimi tempi sembra che gli italiani non mangino più meloni e angurie. I nostri duemila “assistiti” avrebbero potuto mangiare angurie e meloni al mattino, a mezzogiorno e a sera e, volendolo, avrebbero potuto fare anche il merendino con questi frutti della terra…

Fortunatamente poi le mucche del nostro tempo fanno latte ben diverso da quello che da bambino andavo a prendere con il pentolino dal contadino vicino a casa. Allora, se non l’avessimo mangiato subito, il giorno dopo diventava “formaggella”, un tipo di “formaggio” ben poco gradevole. Ora le nostre mucche sono state addestrate a far latte che dura sei, sette mesi e perciò, fortunatamente, le tre tonnellate di latte che siamo andati a prendere a Milano da dei benefattori delle suore del “Farina” possiamo distribuirle intatte anche per le feste di Natale.

Il banco alimentare del “don Vecchi” e il chiosco di frutta e verdura relativo sono abbastanza organizzati, comunque è una “guerra quotidiana” per non far scadere gli alimenti che, in genere, arrivano sempre vicino alla scadenza.

Tutti sanno che, in genere, la gran parte di questi alimenti potrebbe essere consumata anche dopo la data fissata per la loro commestibilità, ma oggi è troppo rischioso consegnare alimenti scaduti. Quindi, per non buttare nulla, abbiamo costituito una rete tra i vari enti e con tanta buona volontà e lo spirito di sacrificio dei nostri volontari riusciamo quasi sempre a piazzare gli alimenti in tempo debito.

Una breve supplenza

Don Gianni, il parroco attuale di Carpendo, mi ha chiesto il favore di supplirlo per una decina di giorni essendo impegnato al campo degli scout. Don Gianni quest’anno s’è concesso una “bella vacanza” in una vallata del Trentino a stretto contatto con la natura e soprattutto con duecento scout della parrocchia – tanti sono a Carpenedo i membri di questa associazione.

Le “vacanze” di don Gianni sono veramente eccezionali: ha dormito per terra in tenda, mangiando quello che i cuochi dodicenni riuscivano a cucinare, dal primo mattino a tarda notte in apprensione per i suoi ragazzini che maneggiano l’accetta per le “costruzioni”, in pena ogni volta che uscivano dal campo per qualche “impresa” che solo i ragazzi sanno inventare. Poi, tornato a casa, la gente gli domanderà: «Si è divertito?». Infine persino lui penserà di dovermi essere riconoscente per aver celebrato la messa vespertina per qualche settimana!

Poveri preti! Se tutto va bene, ma è difficile che accada, genitori e fedeli penseranno di essere loro ad avergli fatto un piacere affidandogli il loro figliolo. Ma se qualcosa non andasse, la critica, e peggio l’accusa, è già pronta. Solamente chi, come me, è vissuto per mezzo secolo queste vicende, sa che cosa “costa” una bella parrocchia e l’educazione dei nostri ragazzi!

Quando un tempo partecipavo ai campi scout, aggiungevo ogni giorno alla preghiera di rito che la liturgia stabilisce, un’altra preghiera che sul messale portava il titolo: “Ad petendam serenitatem”, ossia una preghiera perché il buon Dio mandasse bel tempo, perché con la pioggia la vita da campo è una vera calamità.

Nella settimana, da “supplente” ho sempre aggiunto una preghiera perché don Gianni e i suoi collaboratori sopravvivessero alle loro “vacanze”.

Neanche spero che i parrocchiani conoscano il prezzo del tentativo di fare dei nostri ragazzi degli uomini e delle donne per bene, ma prego perché almeno essi non debbano pagare un sovrapprezzo.