Impegnarsi, tutti e assieme, per risolvere i problemi della gente!

Nota della redazione: come sempre ricordiamo che don Armando scrive più di quanto noi si possa pubblicare settimanalmente, quindi questa sua riflessione risale a prima delle primarie comunali del PD che hanno visto la candidatura di Orsoni e dell’ufficializzazione della candidatura di Brunetta per il PDL.

Il don Vecchi, con i suoi 250 anziani, credo sia considerato dagli aspiranti a governare il Comune di Venezia, come un bacino facile di possibili elettori, quasi sia un vivaio di trote di allevamento.

In questo ultimo tempo sono arrivati pacchi di lettere dei singoli aspiranti sindaco da parte del Centro-sinistra: Bettin, Orsoni, e Fincato.

Ho già scritto cha per me personalmente sono tutti e tre persone intelligenti, capaci, oneste e sensibili alle esigenze dei cittadini. Non credo che i nostri anziani, me compreso, parteciperemo alle primarie. Gli anziani sono un po’ pigri ed acciaccati, io invece non mi sento di fare un torto ad uno di loro, perché, pur essendo diversi tra di loro, mi paiono tutti e tre meritevoli di fiducia.

Non mi esprimo circa i candidati di Centro-destra, perché al momento in cui scrivo, mi pare che non si sappia chi sia il candidato che si offre a governare questo nostro difficile comune.

Mio fratello don Roberto ha scritto su “Proposta” il suo bollettino parrocchiale che non desidera ricevere gli aspiranti al Consiglio Comunale, io invece spalanco le porte del don Vecchi perché ogni candidato si faccia conoscere e dica la sua perché dopo l’elezione noi diremo la nostra con puntualità e decisione.

Ho invece una proposta da fare e siccome mi sento libero quanto mai, lo faccio per ora ai candidati del Centro-sinistra: “Perché non presentarvi come un triunvirato? Nella storia del nostro Paese, ma anche in Europa, non mancano dei precedenti!”

Questa proposta la farò anche al Centro-destra, quando verrò a conoscere i nomi dei loro candidati.

E ora è tempo di lavorare assieme per il benessere della nostra gente. Attualmente le ricette rosso, bianche, verdi o nere del passato sono scomparse, nessuno pensa più di richiamarsi ai “massimi sistemi” ma tutti assieme dobbiamo cercare di risolvere con criterio e buon senso i problemi che via via si affacciano. Se invece di un triunvirato faremo un quadrunvirato, non cambia molto, l’importante è finalmente impegnarci assieme!

La mia epopea scout, quanti ricordi!

Funge da “capo tecnico” nella tipografia ove si stampa “L’incontro”, un mio vecchio lupetto quasi sessantenne, ormai in pensione da tempo.

Io non posso che avvalermi di giovani e vecchi pensionati, date le inesistenti risorse finanziarie.

Questo ragazzino, di tempi ormai lontani, qualche mattina fa mi ha portato una vecchia foto che mi ritrae mentre celebravo messa nel campo scout di Gares.

Mi è bastata questa foto per farmi risucchiare da un’ondata di ricordi cari dell’epopea scout che ho vissuto agli albori del mio sacerdozio.

Lo scoutismo mi ha affascinato e impegnato per più di vent’anni, quando ne sono uscito non c’era quasi parrocchia della città in cui non avessimo fatto nascere un gruppo.

Ora non so più quale sia la situazione dello scoutismo a Mestre, ma allora gli scout si contavano a centinaia e centinaia. Solamente a San Lorenzo, la parrocchia del Duomo, avevamo due branchi di lupetti, tre reparti scout, un noviziato e due clan e altrettanti gruppi femminili perché a quel tempo maschi e femmine avevano gruppi separati.

Quanti ricordi, quante imprese, quanti incontri e quante preoccupazioni per le singole storie di questa massa di giovani che affrontavano i temporaloni dell’adolescenza e della prima giovinezza, mi fa tristezza quando apprendo l’esiguità dei gruppi giovanili che ruotano attorno a certe parrocchie!

Rimango assolutamente convinto che quando un prete si spende tutto e semina a piene mani con generosità, fiorisce anche il deserto! Fu così anche a Mestre negli anni 60-70!

Ora mi restano i ricordi, ma i miei ragazzi li porto tutti nel cuore.

Nella foto mi fanno da chierichetti, a destra Maurizio Saccarola, capo squadriglia, diventato medico coscienzioso e brillante, ed ora in cielo ormai da anni, a sinistra Oscar Turra, capo reparto prima tra gli scout e poi nello stabilimento della Flag, un po’ in disparte Ferruccio Faccenda, ingegnere in pensione, poi un quadrato interminabile di ragazzi che con me hanno incontrato il Signore a contatto di una natura splendida ed incontaminata.

Io non sono riuscito a seguire le infinite storie dei miei ragazzi di un tempo, ogni tanto ne viene a galla qualcuno, ma sono certo che la splendida avventura vissuta assieme e strettamente collegata a Dio e al prossimo, contrassegnerà per sempre le coscienze di ognuno.

Marghera ieri: operai sfruttati e una terra avvelenata

Quando leggi un saggio su certe situazioni economico-sociali di tempi non lontani, o sulle evoluzioni a livello sindacale, che riguardano le condizioni di lavoro di un passato, che a te pare recente, ma che in realtà riguarda fatti di mezzo secolo fa, annoti in maniera distaccata l’evolversi della società, altro però è apprendere dalla viva voce di un protagonista di quelle situazioni e di quei tempi.

Qualche giorno fa ebbi modo di scambiare qualche opinione con un mio vecchio parrocchiano, in pensione ormai più di vent’anni, pur essendo più giovane di me, chiacchierando venne fuori la Marghera dei suoi tempi. Mentre egli mi raccontava la vita in stabilimento, confrontavo i suoi ricordi, quanto mai vivi, con la Marghera dei nostri giorni, ridotta ormai a cimitero abbandonato del polo industriale, che il conte Volpi aveva fatto nascere sulla gronda lagunare e che determinò lo sviluppo economico sociale di Mestre e dell’intero interland.

Il mio amico, era entrato in fabbrica, alle Leghe Leggere, a quattordici anni, in quello stabilimento lavoravano allora cinquemila operai, quando ne è uscito, con 35 anni di lavoro, gli operai rimasti erano ridotti a 250; ora penso che delle Leghe Leggere siano rimasti, come lapidi tombali, solamente qualche capannone annerito dal fumo dei laminatoi in completo abbandono.

“Ai miei tempi, ci davano 15 minuti per il pranzo. Quando andavo al bagno un contatore registrava i minuti di permanenza perché si dovevano recuperare!”
“Guai fumare una sigaretta!”
Marghera, un mondo ormai scomparso e sepolto nei ricordi dei superstiti. Spremuti come limoni gli operai, avvelenato per secoli il terreno della gronda della nostra laguna, il capitalismo sì è spostato, per sfruttare altri poveri del terzo mondo ed avvelenare altre terre vergini di altri paesi.

Ancora una volta la ricerca del benessere di pochi, semina rovina e morte per molti.

La redenzione, pare quasi non ancora cominciata in questo importante e vasto settore della vita!

Grazie all’assessore Bortolussi per aver concretizzato il “Last minute market”!

Ho ricevuto l’invito ufficiale dell’assessore alle attività produttive, commercio, tutela dei diritti dei consumatori, nuove professionalità e lavoro atipico, dottor Giuseppe Bortolussi, a prendere parte alla conferenza stampa di presentazione dell’avvio ufficiale del progetto “Last minute market” indetta presso la sede municipale di Mestre, sala del Consiglio.

Credo che per l’assessore Bortolussi, che si appresta ad essere candidato a governatore del Veneto, sia questa una bella soddisfazione e soprattutto sia quanto mai contento d’essere riuscito a liberarsi da questa brutta gatta da pelare.

Farò di tutto per poterci andare. questo invito però mi ha riempito l’animo di un sentimento, spero di legittimo orgoglio.

Ho scoperto la possibilità del recupero dei cibi in scadenza almeno sei sette anni fa leggendo la notizia sulla stampa sull’iniziativa del Comune di Bologna.

Nella sostanza si tratta che gli ipermercati mettono a disposizione i cibi in scadenza ed in cambio il Comune abbassa la tassa di smaltimento.

Ho tentato subito l’avventura in solitaria senza alcun risultato. Mi sono rivolto in Comune, ricevendo promesse che sono poi risultate campate in aria senza alcun fondamento.

Sono passato di assessore in assessore da funzionario a funzionario ottenendo promesse, ma non risultati. Finalmente un anno fa sono approdato a Bortolussi, il quale probabilmente pensava che la cosa fosse più semplice, d’altronde non poteva che andare avanti, dietro c’era il fuoco incrociato dei giornali di Mestre, sollecitati da un certo “don Camillo” ora l’uno, ora l’altro sono interventi ed un cecchino costante e fastidioso sempre pronto a sparare un colpo!

Si prenda chi vuole il merito, a me interessa che i poveri abbiano almeno “le briciole” che cadono dalla tavola dell’Epulone!

I “bond del paradiso”

Veramente non è la prima volta che mi sia capitato di trovarmi coinvolto in una avventura mediatica quale quella che sto vivendo da qualche giorno.

Dopo essermi scervellato per trovare una soluzione per la copertura finanziaria del costruendo don Vecchi di Campalto, mi è parso di comprendere che, se io avessi messo in vendita dei certificati di parziale proprietà, anche se a livello sostanzialmente simbolico del don Vecchi di Campalto, facendo sottoscrivere azioni della Fondazione che lo gestirà, molto probabilmente avrei ottenuto qualche risultato, sempre che fossero quote a prezzo accessibile.

Fissai il costo in 50 euro. Poi mi feci stampare dai miei collaboratori un certificato di forma un po’ spagnolesca, che si rifà ai certificati di credito delle poste italiane di una volta che avevo visto per caso.

Lanciai l’iniziativa finanziaria dalle colonne de “L’incontro”.

La cosa ebbe immediato successo, dato anche delle numerose spintarelle che io non ho cessato di darle.

Ad esempio quando uno mi faceva un’offerta di 50 euro o un suo multiplo, stampavo il nome come se mi avesse chiesto un’azione. Mi sentii legittimato a farlo avendo dichiarato pubblicamente che tutto quello che ricevevo l’avrei messo sul conto del don Vecchi quater.

Compresi però ben presto che il bacino de “L’incontro” era troppo piccolo per avere un risultato adeguato al bisogno. Allora preparai una documentazione abbondante con elementi che interessano i mass-media e la spedii agli amici de “Il Gazzettino”, della “Nuova Venezia”, di “Gente Veneta” del “Corriere della Sera” e di “Rai Tre”.

Il primo che ha risposto è stato il “Corriere del Veneto” con un articolo di Alberto Zorzi dal titolo così stuzzicante che ha fatto il “miracolo”. Una vecchiaia tranquilla con i “Bond del Paradiso”.

Probabilmente il titolista dell’articolo tradusse la parola “azione” con quella più moderna e corrente di “Bond” e la congiunse al “paradiso”, Io infatti a scanso di equivoci mi sono garantito da possibili richieste di risarcimento col dire che le azioni erano esigibili solamente al momento del giudizio finale che tutti sanno segue la morte.

E’ nato subito un putiferio; ha telefonato l’Ansa, Antenna Veneta, Rai Tre, un’agenzia milanese e tutti i quotidiani cittadini.

Non credo d’aver scoperto ed essermi appropriato dell’oro dell'”Eldorado” comunque il “lancio” ha rimesso in moto tutta l’operazione.
Così va la vita!

Quale che sia il nuovo sindaco, spero si occupi del bene della città!

Nota: questa riflessione di don Armando è precedente alle primarie del Partito Democratico che hanno sancito la candidatura di Giorgio Orsoni.

Pur controvoglia, a motivo del formato tabloid dell’attuale Gazzettino, che mi è cordialmente antipatico ed indisponente, sto seguendo le manfrine dei vari aspiranti a sindaco di Venezia. Per il centrodestra, da quel che ho capito, pare che ci sia in campo solamente il ministro Brunetta, piccolo, arrogante, saccente, indisponente e laico!

Io dovrei essere contento perché una decina di anni fa, in una occasione come questa, mi mandò a chiamare per propormi l’assessorato alla sicurezza sociale. Non avrei potuto accettare, comunque Brunetta perse le elezioni, motivo per cui non ebbi neppure l’imbarazzo di un diniego per “incompatibilità di ministeri”.

Qualche tempo fa gli scrissi perché pensavo che potesse darmi una mano. Non ebbi neppure un cenno di risposta. Ho pensato che a motivo del rigore e del risparmio avesse abolito la segreteria e perciò, dovendo fare tutto da solo, non avesse proprio il tempo per rispondere ai suoi concittadini. Comunque ho l’impressione che ora, che vuole cambiare la Costituzione e fondare la Terza Repubblica, non abbia proprio voglia di annegarsi a Venezia visto che l’acqua sale fino ad un metro e cinquanta!

Nel centrosinistra sento parlare di Orsoni, il quale ha dichiarato che io l’ho preparato alla prima comunione quando ero a San Lorenzo. Se Orsoni diventerà sindaco, dovrei essere in una botte di ferro perché ho sempre insegnato a tutti i miei ragazzi che la solidarietà è il cuore, l’anima e la vita del cristiano.

Poi la stampa parla di Bettin e della Fincato. Con Bettin, eccetto che per il discorso dei centri sociali, che lui ritiene il danno minore non chiuderli, mentre io ci metterei sopra la più grossa pietra tombale, per tutto il resto ritengo che egli sarebbe una delle garanzie più sicure per quello che riguarda lo stato sociale e l’attenzione alla povera gente e questo è quanto di meglio mi aspetto dal nostro sindaco.

La signora Fincato la conosco da poco, ma credo che essendo un persona intelligente e cortese, con lei dovrebbe essere facile intendersi. A lei debbo la chiesa del cimitero.

Ora sto pregando che, qualsiasi sia il nuovo sindaco, metta in atto progetti di rinnovamento senza lasciarsi avviluppare da condizionamenti di sorta, ma puntando ad ogni costo al bene della città.

Il Gazzettino formato tabloid non è più il “mio” Gazzettino…

Quando di primo mattino aprivo Il Gazzettino, che suor Teresa mi porta prima della colazione, mi sembrava di spalancare la mia finestra sul mondo e in particolare sulla mia città, e scoprirla ogni giorno uguale e diversa.

L’ho confessato varie volte, io sono abbastanza abitudinario: mi alzo alle 5,30, mi rifaccio il letto, dico il breviario e alle 7 faccio un po’ di colazione; uno yogurt e una tazzina di caffelatte, mentre normalmente sfoglio Il Gazzettino, che suor Teresa con gentilezza e spirito di sacrificio, acquista dal giornalaio di viale don Sturzo; dedico alla lettura 15-20 minuti, cinque per le notizie nazionali e dieci per Mestre e Venezia, alle 7,25 parto per il mio “lavoro”: apertura e riordino della “cattedrale” e della succursale, la vecchia ed amata cappella alla quale ho dedicato quarant’anni della mia vita.

Leggo Il Gazzettino fin da bambino. Ad Eraclea, mio paese nativo, una volta non arrivava che questo periodico. Il Gazzettino rappresentava una realtà amica e familiare; quei gran paginoni, quegli articoli magari di poco conto, ma a cinque-sei colonne! Tutto quello che accadeva a Mestre, Venezia, diventava interessante.

Ora è arrivato, per volontà di non so chi, il formato tabloid; ogni volta che prendo in mano la vecchia testata di Talamini, mi pare di incontrare un estraneo che si è introdotto furtivamente a casa mia, mi sembra uno sconosciuto con un cappottino troppo stretto, che parla a monosillabi, che riduce ogni evento a fatto banale e scontato, neppure degno di uno sguardo, seppur superficiale.

In questo ultimo tempo mi son chiesto inutilmente “Ma perché non hanno aspettato ancora un po’ per cambiare, non hanno pensato che a noi vecchi hanno rubato un altro pezzo del nostro “piccolo mondo antico?”

La vecchiaia è anche questo: sentirsi più soli perché i tuoi “amici” ad uno ad uno se ne sono andati. Ora è morto perfino il vecchio Gazzettino!

Aspettando le “vecchine”, prezioso tesoro per ogni chiesa

Qualche giorno fa il Vangelo mi ha giustamente costretto a riflettere sulla profetessa Anna, quella “Betta dalla lingua schietta” che, incontrando la Madonna nel tempio, in occasione della sua purificazione e della presentazione di Gesù, le predisse che fare la mamma in maniera seria è un “mestiere” faticoso, difficile e talvolta anche ricco di amarezze.

La Madonna accettò la lezione e la mise in pratica, tanto che rimproverò Gesù per il fatto che si era fermato a Gerusalemme per discutere con i dottori nel tempio ed infatti, dopo la reprimenda “perché hai fatto questo? tuo padre ed io ti abbiamo cercato”, Gesù – ci informa il Vangelo – “cresceva e si fortificava in età, sapienza e grazia”.

Tutto serve nella vita, se è accettato con intelligenza, umiltà e buona volontà.

Il discorso su Anna mi ha fatto venire in mente un pezzo di Bergellini, l’intellettuale fiorentino che con penna felicissima, sorniona ed intelligente, dedica una bellissima pagina alle “vecchine” che bazzicano molto di sovente in ogni chiesa. Non possiamo concedere sempre l’aureola a tutte queste vecchine, perché qualche pettegolezzo, qualche “manietta” ce l’hanno anche loro, ma è pur vero che danno respiro e cuore alle sacre mura solenni del tempio e rimangono testimoni di una fede convinta e di antichi valori cristiani.

Io non ho la fortuna di avere queste vecchine, nella cappella ottocentesca perché è troppo piccola e tanto fredda, nella prefabbricata perché è troppo nuova per ospitare nonne che hanno bisogno di tempo per mettere radici.

Non è vero che non ho “vecchine” in assoluto, in verità ne ho troppo poche perché diventino il cuore e le labbra della nuova chiesa “Santa Maria della Consolazione”. Ma in futuro chissà!

Se solo tutti i mestrini si lasciassero coinvolgere dall’utopia della città solidale!

Quant’è difficile proporre valori positivi! Ormai da molti anni sento il dovere di promuovere ad ogni costo la solidarietà come valore che può rendere più vivibile e civile la vita a livello cittadino. Faccio una gran fatica a comprendere ed accettare che chi dispone di mezzi economici più o meno considerevoli non senta, prima che il dovere, il bisogno di aiutare chi è in difficoltà, specie se è anziano e quindi non è più in grado di puntare all’autosufficienza.

In questi giorni sono intervenuto presso i mass-media della città perché mi aiutino a collocare “le azioni della Fondazione Carpinetum”. In fondo non si tratta che di raggranellare solamente due milioni di euro! Per una città come la nostra questo obiettivo è ben modesto, eppure son certo che dovrò sudare sette camicie per recuperare questa somma.

Il problema più grave non è poi tanto questo, quanto la messa in moto di una mentalità solidale, ossia la mentalità di far proprio un meccanismo per il quale ognuno fa quel che può, o riesce, per aiutare chi è in maggior difficoltà. Dove questo meccanismo funziona, veramente fioriscono “miracoli” veri e propri.

Le due associazioni di volontariato che operano al Don Vecchi e si ispirano a questa dottrina, in qualche modo “costringono” i concittadini ad entrare in questa catena solidale. Centinaia, migliaia di persone indigenti ogni giorno ritirano vestiti, coperte, bigiotteria, mobili, “pagando” prezzi pressoché simbolici e sempre alla loro portata. Centinaia di volontari offrono gratis qualche ora alla settimana, senza faticare più di tanto, arrivando così a recuperare cifre notevoli (più di duecentomila euro a fine dicembre), con le quali contribuiscono a creare 60 nuovi alloggi per anziani poveri.

I mestrini più poveri stanno realizzando questo “miracolo”; se a questo sistema di solidarietà si unissero anche i cittadini più abbienti, più intelligenti, professionalmente più preparati, potremmo offrire alla città servizi di prim’ordine beneficiando i più poveri e gratificando i più ricchi.

Il problema rimane però quello di convincere tutti a lasciarsi coinvolgere dall’utopia della città solidale. Splendida utopia, che però ha bisogno della “fede” per essere intrapresa.

Non tutto è male nel nostro tempo!

Abbastanza normalmente l’opinione pubblica, ma anche noi cittadini, poniamo l’accento sugli aspetti negativi del nostro tempo, puntando il dito accusatorio sulle negatività dei nostri giorni.
Io, purtroppo, mi riconosco in questa categoria.

Non ci accorgiamo invece quasi mai di ciò che di positivo fortunatamente si può trovare, sia nella società civile, che nella chiesa.

Mi sono soffermato su questa costatazione, leggendo l’intervista che pubblico in questo numero de “L’Incontro”.

Il dottor Melazzini, oncologo di fama, colpito dalla Sla, afferma che piuttosto di soffermarsi su ciò che egli non riesce più a fare trova opportuno godere delle cose che riesce ancora a realizzare.

Il pensiero saggio di Melazzini, mi ha aiutato a leggere positivamente più di un aspetto nei miei rapporti con la chiesa e la società civile.

Qualche settimana fa uno dei miei ragazzi di un tempo, che ora fa il giornalista, mi ha messo in una posizione imbarazzante circa la delibera della regione che ha deciso di stipendiare i cappellani negli ospedali.

Forse io non mi ero espresso bene o forse lui ha interpretato male il mio pensiero per scrivere qualcosa di non scontato, comunque ne è venuto fuori che questo vecchio prete sempre bastian contrario, prima ha criticato le vacanze del Papa ed ora critica pure lo stipendio dei preti in cura d’anime in ospedale.

Io volevo solamente dire che ero un po’ deluso che tra i 200 preti e più frati che ci sono in diocesi non si sia trovato che qualcuno accettasse questo ministero così importante e delicato.

Per qualche giorno pensavo ad un intervento della curia nei miei riguardi, che mi dicesse che se il Patriarca ha firmato questo protocollo aveva le sue buone ragioni, mentre io avevo solamente una visione superficiale del problema.

Non è successo niente; ma mi sono chiesto se questo fosse accaduto cinque o sei secoli fa, cosa sarebbe successo? Giovanna d’Arco, la pulzella d’Orleans fu mandata al rogo solamente perché si era messa i pantaloni e il Savonarola bruciato in piazza per delle affermazioni che ora sono usate per proclamarlo beato!

Andiamo! Non tutto è male nel nostro tempo! Talvolta si abusa della libertà di pensiero e di parola, comunque credo che sia immensamente meglio dell’inquisizione! Io sono ancora convinto che la storia dell’uomo stia percorrendo, nonostante tutto, un cammino ascensionale, ed io mi reputo veramente fortunato di vivere in questo tempo, altrimenti sarebbero stati guai!

Una chiesa amata perché semplice

I fedeli mi hanno chiesto di rinforzare gli altoparlanti esterni alla nuova chiesa perché, nonostante essa offra posti a sedere di più di quelli esistenti nella vecchia cappella dell’ottocento, ci sono ancora fedeli che sono costretti a partecipare alla Messa stando fuori della chiesa.

Ho ordinato altre 30 sedie e credo poi che con un po’ di buona volontà si possa trovare ancora qualche spazio all’interno, comunque sono molto contento nel costatare che non ho sbagliato a chiedere al Comune una struttura di cui la Comunità cittadina aveva vero bisogno.

Sono poi ancora più contento che la gente gradisca quanto mai il nuovo luogo di culto.

I fedeli non cessano di farmi complimenti, pensando che la risposta della civica amministrazione sia stata determinata dalla mia insistenza, e soprattutto si dice contenta della struttura che giudica quanto mai bella e adatta agli incontri di preghiera.

E’ vero che la nuova chiesa offre un clima di molta intimità; si determina subito nella assemblea un clima accogliente, familiare, infatti la gente risponde, canta, partecipa ai sacri misteri; forse non è distratta dalla maestosità del tempio, motivo per cui il dialogo con Dio e con i fratelli diviene immediatamente l’elemento focale dell’incontro religioso.

Di frequente mi viene da pensare alla definizione con cui il vescovo di Barletta, don Antonino Bello, parla della comunità cristiana del nostro tempo come “La chiesa in grembiule”, come chiesa dimessa, povera rispondente al sogno e alle attese dei cristiani semplici ed evangelici.

Forse è per questo che i mestrini dimostrano ogni giorno di più il loro gradimento per la chiesa prefabbricata del cimitero, sentono l’esigenza che non solo la chiesa dei cuori non abbia nulla di maestoso ed incombente, e perciò s’aspettano che anche l’abito che indossa sia consono ad un popolo di Dio umile ed autentico.

La lunga odissea del Don Vecchi 4…

Spero che l’opinione pubblica della nostra città non abbia abbinato i nostri frequenti annunci di prossima apertura del cantiere del don Vecchi di Campalto, alle parole del coro di certe opere liriche in cui si ripete quasi ossessivamente “Partian, partian” ma in realtà esso rimane immobile sulla scena, incollato al pavimento del palco, nonostante le modulazioni diverse con cui motiva l’intenzione di partire.

Avevamo avuto assicurazioni incoraggianti, anzi certe, dal nostro tecnico l’architetto Giovanni Zanetti, che non solamente l’amministrazione comunale, ma anche i relativi tecnici degli uffici preposti alla concessione, erano non solamente consenzienti, ma anzi intenzionati ad adottare un percorso veloce e semplificato perchè si potesse procedere all’apertura del cantiere. Questi annunci i lettori de “L’incontro”, ma pure della stampa cittadina quale “Il Gazzettino”, “La nuova Venezia”, “Gente Veneta”, hanno potuto leggerli in primavera, prima delle ferie estive, dopo le ferie estive, all’inizio dell’autunno.

Nonostante questo, il coro sta ancora canticchiando sempre più svogliatamente “Partian, partian”

Il maestro del coro, sollecitato con sempre più impazienza e frequenza, ci offre delle spiegazioni che un comune mortale e per di più vecchio come me, non riesce proprio a comprendere.

Pare impossibile che il comune, rappresentato operativamente da un apparato burocratico elefantiaco, a dir poco, quattromila e seicento dipendenti, la più grossa ed improduttiva azienda del territorio, non riesca ad approvare in poco tempo, un progetto che gli permetta di avere a disposizione trecento alloggi per gli anziani più poveri della città.

Nonostante possa verificare che quelli esistenti, sono ambienti signorili, gestiti in maniera tale che anche chi ha la pensione minima vi può vivere senza mendicare nulla da nessuno e senza pesare sui figli!

Al tempo del don Vecchi 1° l’allora neo assessore Armando Favaretto, di fronte alle mie vivaci rimostranze mi aveva promesso che da allora in poi i cittadini del Comune di Venezia avrebbero avuto risposta ai loro progetti al massimo entro 15 giorni.
Dolce chimera!

Chiedo al sindaco Cacciari, che prima di lasciare l’amministrazione, mandi per qualche giorno in Austria tutti i funzionari dell’edilizia pubblica e privata, là mi si dice, fanno in un giorno ciò che i nostri fanno in un anno!

Questa non è una mia sparata, l’ha detto la nostra televisione di Stato un paio di settimane fa. Quello che poi non capisco è come mai Brunetta non cominci far pulizia nella sua città?

Quel clima di rassegnazione e resa nelle istituzioni cittadine…

Ero convinto di essermi aperto una strada con i primi tre Centri don Vecchi. Mi ero quindi illuso che quando ho chiesto la licenza edilizia per il quarto, i funzionari del Comune, mi avrebbero srotolato una corsia rossa di velluto.

Non sono in verità molti i cittadini che mettono a disposizione della collettività trecento appartamenti per anziani e scommettono di farli vivere anche con la pensione minima senza pesare sui figli e sul Comune.

Invece no, nell’Italia di “Franceschiello” c’è una tale ragnatela di leggi, ordinanze, disposizioni e quant’altro, che quando uno ci cade dentro, finisce per avvilupparsi come un ragno e perdere il senno e la vita.

Ero poi particolarmente irritato perchè il funzionario che stava mettendoci i bastoni tra le ruote, era uno dei ragazzini del Patronato di Carpenedo. In verità “aveva fatto combattere” anche da ragazzino, ma mentre la gran parte dei ragazzi crescendo “fa giudizio” in questo caso temo che egli abbia perso anche quel po’ che aveva.

Mi si suggerì di ricorrere al sindaco per non trovarmi in mezzo al guado in prossimità delle elezioni comunali.

Mi fu concessa udienza prestissimo. Ci andai con il progettista ed un membro del consiglio della Fondazione.

Venezia era appena emersa, bagnata come un anatroccolo, da un metro e trenta di acqua alta, umidità, spazzature, passerelle scompigliate!

A Ca’ Farsetti c’era consiglio comunale, un andirivieni disordinato e crocchi ad ogni angolo, uscieri poco protocollari, gli unici che si salvavano in quell’ambiente che sapeva di decadenza erano i vigili in uniforme.

Incontrai il sindaco in un salone con una tavola rotonda piena di carte in disordine, era stanco morto e parlava sottovoce. Credo che Daniele Manin il giorno della resa fosse più gagliardo, tanto mi parve stanco e sconfitto!
Fu cortese, telefonò al funzionario dicendogli di “darsi una mossa”.

Ci congedò in fretta perché doveva andare nella “fossa dei leoni” almeno così mi parve.

Certamente la forma è marginale in rapporto ai problemi, ma la Venezia di case e di uomini che ho incontrato, mi è apparsa desolata e rassegnata alla resa. Peraltro in questo paesaggio triste e melanconico, non mi pare che all’orizzonte appaia un “salvatore della Patria”. Tutt’altro!

Lentezze burocratiche insostenibili

Quindici anni fa ero più giovane e più battagliero, ad 80 anni molte armi risultano logore e spuntate.

A quel tempo non riuscendo ad ottenere la licenza edilizia per il progetto di una “residenza collettiva protetta per anziani autosufficienti” , chiesi ad una impiegata comunale gli indirizzi dei 60 consiglieri dei vari schieramenti politici ed ogni settimana per due mesi spedii “Lettera aperta” il settimanale della mia parrocchia d’allora, che riportava ad ogni numero un attacco all’inerzia e alla insensibilità sociale del Comune nei riguardi degli anziani della città.

Quando poi mi capitava di “sparare” mediante “Il Gazzettino” o “Gente Veneta” lo facevo con ebbrezza.

Resistettero neanche per due mesi poi finirono per capitolare!
Era inevitabile che avvenisse!

Ricordo che l’allora assessore all’edilizia mi garantì che tra la domanda e la risposta sarebbero passati al massimo 15 giorni.

Poi suddetto assessore scomparve, suppongo con il naufragio della democrazia cristiana, ma le cose non sono per nulla mutate anzi peggiorate!

Abbiamo un Comune di sinistra, che dovrebbe essere particolarmente sensibile ai problemi dei poveri, dispone di 4600 dipendenti, la più grande e la più improduttiva azienda della città, abbiamo il ministro Brunetta, che pur militando dalla parte opposta, ha fatto motivo della sua vita smascherare i fannulloni però niente si muove.

Un tempo l’amministrazione comunale e gli enti pubblici erano forse scettici sulla formula che proponevamo, ora siamo diventati un “fiore all’occhiello!” La facoltà di Economia e Commercio ha commissionato una tesi di laurea su “I centri residenziali per anziani don Vecchi” una soluzione innovativa nei servizi per “le nuove povertà”.

La Regione l’altro ieri ci ha mandato una commissione di un grosso comune che ha in animo di realizzare qualcosa di simile, per visionare “un prototipo all’avanguardia” e sta iniziando ad inquadrare a livello legislativo gli alloggi protetti. Nonostante questo la nostra burocrazia comunale continua a mettere bastoni tra le ruote e a pretendere “percorsi di guerra” impossibili. La gente dice che io sono “battagliero” ora non bastano più le parole credo che si debba auspicare ben altro!

Anche questo è egoismo!

In occasione del convegno della Fao tenutosi a Roma e soprattutto dell’intervento del Sommo Pontefice, con cui ha condannato lo sperpero e l’egoismo come due delle principali cause della fame nel mondo, una rete televisiva mi ha chiesto un’intervista domandando un mio commento sull’intervento del Pontefice.

La ripresa televisiva durò due o tre minuti e ciò che è andato in onda meno che un minuto.

Nel mondo delle immagini c’è poco spazio per i ragionamenti, sono i volti, le persone che diventano esse stesse messaggio se nella loro vita si spendono per una qualche causa.

Mi trovavo perfettamente d’accordo col Papa, non tanto perché Egli è il maestro della fede e della morale per i cristiani, ma perché condivido fino in fondo la sua analisi sui motivi che determinano la fame nel nostro mondo. Però per non annegarmi nel mare magnum delle questioni mondiali, la mia puntualizzazione si fermò a livello cittadino.

A Mestre negli ultimi 40 anni sono stati aperti una serie di ipermercati, che hanno letteralmente strangolato i piccoli commercianti, facendoli chiudere mediante una concorrenza spietata che essi non potevano reggere. Poi, conquistato il mercato, stanno facendo il bello e il cattivo tempo. Fino un paio di anni fa buttavano in discarica i generi alimentari non più commerciabili, poi hanno scoperto che facendo sconti potevano lucrare anche da questa merce che i cittadini più intelligenti e più poveri sono costretti ad acquistare. Pur sapendo che ricavano enormi utili da questo bacino di utenza, neanche si sognano di donare “gli avanzi” ai poveri, ma vogliono lucrare anche dagli avanzi!

Se questo non è egoismo della marca più raffinata non saprei proprio dove cercare l’egoismo?

Il guaio poi è che ormai si è costituito praticamente un cartello per cui non è neppur possibile proporre forme di boicottaggio. Comunque sono certo che la “farina del diavolo” rimarrà prima o poi nel gozzo di questa gente doppiamente asociale perché di certo essa spendacchia in maniera egoistica il frutto della loro “rapina” non conoscendo però la sentenza evangelica “stolto, stanotte morrai!”