L’approdo agli Arzeroni

Per quanto riguarda il Don Vecchi successivo, il quinto per intenderci, direi che il mio impegno direttoriale si è fermato alla individuazione del nuovo sito. Con Lanfranco Vianello, che a quel tempo era consigliere della Fondazione Carpinetum, andammo all’Ufficio dell’Edilizia Privata per avere indicazioni circa una superficie di proprietà comunale perché il costo del terreno edificabile a Mestre era veramente proibitivo. Il funzionario ci indicò una superficie, in quel degli Arzeroni, nella quale, ci disse, c’era perfino un parcheggio pubblico attrezzato. A questo punto entrò in campo don Gianni Antoniazzi, il nuovo parroco di Carpenedo e nuovo presidente della Fondazione Carpinetum. La situazione catastale dell’area indicata era davvero imbrogliatissima. Don Gianni, con grande perizia, riuscì a trovare il bandolo della matassa per avere prima la disponibilità del terreno e, poi, l’autorizzazione a costruire, dato che pure quel terreno era ad uso agricolo.

A questo punto le decisioni, pur rendendomi informato e compartecipe, furono prese da don Gianni, dal geometra Andrea Groppo, assieme a tutto il Consiglio. Qualche curioso, che prendesse interesse a questa bella storia, potrebbe chiedere giustamente: “Come avete fatto a trovare i soldi?” In merito a questa domanda credo di dover rispondere che anche a questo proposito “ci mise un dito, ancora una volta, la Provvidenza”. Credo dunque che sia opportuno e giusto che ve ne informi sul come avvenne.

L’assessore Remo Sernagiotto, che a quel tempo era a capo delle Politiche sociali della Regione, un giorno venne a visitare il Don Vecchi due e ne rimase quanto mai ammirato ed entusiasta. Tanto da confidarci che stava perseguendo un progetto a favore degli anziani proprio al limite dell’autosufficienza e quindi bisognosi di avere qualche supporto più consistente di quello più modesto che noi invece avevamo deciso per i nostri residenti. In quell’occasione, con nostra sorpresa, ci propose di fare noi una sperimentazione del suo progetto. Noi acconsentimmo con entusiasmo ed egli, per realizzarlo, ci offrì un mutuo di due milioni e ottocentomila euro a tasso zero, estinguibile in 25 anni. Aggiunse una piccola diaria di 25 euro al giorno per ogni residente al fine di aumentare il servizio.

Allora don Gianni si rivolse, anche su mio suggerimento, allo studio quanto mai affermato dell’architetto Paolo Mar, il quale si avvalse di sua figlia Giovanna, pure lei architetto, con la collaborazione di due giovani professioniste, Francesca Cecchi ed Anna Casaril. Insieme stilarono un piano volumetrico per tutta l’area e un progetto particolare per la nuova struttura, una struttura particolare comprendente 65 alloggi, che prevedeva l’autonomia dei residenti con angolo cottura, bagno e veranda, ma pure con la possibilità di una assistenza infermieristica. La struttura si rifaceva, tutto sommato, al modello delle residenze sociosanitarie. Ne vennero fuori delle cellule abitative tutte monolocali di 28,50 metri quadri di superficie abitabile. In questa struttura sovrabbondano gli spazi comunitari.

L’inaugurazione ebbe luogo a metà maggio del 2014 alla presenza dell’attuale patriarca monsignor Francesco Moraglia. Il guaio di questa programmata sperimentazione fu che la Fondazione riempì la struttura di novantenni, evidentemente fragili e bisognosi di aiuto, mentre, nel frattempo, Sernagiotto aveva pensato bene di candidarsi al Parlamento Europeo. I suoi successori si lavarono le mani, così la Fondazione si trovò una casa riempita di anziani “traballanti” senza che potessimo disporre della diaria promessa per assumere il personale necessario per l’assistenza.

Fu giocoforza necessario convocare le famiglie, spiegare ciò che era accaduto e invitarle a farsi totalmente carico dell’assistenza. Pur con qualche mugugno dei parenti, si dovette arrivare a questa conclusione. (10/continua)

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