La mamma di Dario, qualche settimana fa mi ha informato con le lacrime agli occhi che il suo figliolo e mio “lupetto” di molti anni fa, stava male, molto male.
Le chiesi se non le sarebbe dispiaciuto se avessi fatto un salto a casa sua. Era un pezzo che non ci vedevamo.
Con la pensione vivo nel mio “convento” un po’ fuori dal mondo, Dario, invece, professionista affermato e primario in ospedale era impegnato su mille fronti. Gli telefonai più volte, ma il telefono squillava a vuoto.
Un giorno finalmente trovai il figlio che mi disse che il babbo era ricoverato in ospedale.
La sera lo trovai in una cameretta dell’Angelo che s’apre sulla dolce campagna verde, che almeno per ora, circonda il nostro bell’ospedale. Ormai il caro ragazzo, poco più che cinquantenne, non riusciva neppure a spingere il suo sguardo fuori dalla grande finestra per cogliere la bellezza della campagna in fiore. Mi riconobbe e rispose con un fil di voce alle mie parole; la sua parlata calda e veloce con quel timbro tipico della Cesena dei suoi genitori, s’era ormai spenta e riusciva appena a pronunciare brevi parole essenziali.
Andai ogni giorno, ma i giorni che gli rimanevano furono pochi.
L’ultima sera posi la mia mano sulla sua testa e l’altra sulla sua sposa che stava raccogliendo i suoi ultimi attimi di vita. Non giunse alla mattina dopo. L’indomani partecipai al suo commiato. Don Franco disse che non aveva mai visto la chiesa così gremita, Dario raccoglieva i frutti di un servizio generoso e altruista, mentre egli teneva il suo sermone la mia memoria girava il documentario della vita di questo ragazzo, lupetto, scout, capo reparto, università, laurea, famiglia, due figli, conversazioni, conferenze, collaborazioni con realtà in cui la psicologia tiene uno spazio importante quali la scuola, il consultorio, l’ospedale.
Era arrivato all’apice della carriera, al titolo ambito e meritato di primario. Quando mi trovavo in difficoltà con casi complicati ed inesplicabili, li mandavo da lui perché sapevo che li avrebbe accolti ed aiutati con il suo ottimismo innato che gli accendeva sempre sulle sue labbra ottimismo e speranza.
Ricordo che una coppia di giovani sposi che nella loro vita coniugale non avevano fatto altro che litigare, li mandai per disperazione dal dottor Dario Casadei. Dopo un paio di mesi ritornarono da me per portarmi in regalo una pianta per averli mandati da quel bravo psicologo.
Curai quella pianta con infinito amore perché mi aiutava a non disperare.
Ora anche Dario se ne andato in punta di piedi, mi sento ancora più solo, so che non avrò più quell’appiglio sicuro e tranquillizzante sul versante misterioso della psiche umana!
Caro carissimo amico, oggi tramite internet ho saputo di te e sono rimasta veramente ( non trovo le parole adatte( scusami). Tu che mi hai tantissimo aiutato con la mia depressione, che mi hai incorragiato a ritornare nel mio paese e dopo 13 anni mi ritrovo in un momento di dificoltà: un divorzio, spero che da lassù insiemme al mio babbo e nonni mi aiuterai di nuovo, credo in te ” PICCOLA STELLA” e GRAZIE INFINITE per le ore che mi hai dedicato, eri e sarai sempre nel mio cuore; la tua famiglia sarà orgogliosa di averti tenuto al loro fianco…