Da “L’INCONTRO” – 25 marzo 2018

Da “L’INCONTRO”25 marzo 2018
settimanale della Fondazione Carpinetum

Don Angelo Favero, che con questo numero de L’Incontro entra nella redazione del periodico, ci offre un articolo veramente bello e profondo sulla figura di San Giuseppe che egli definisce “padre adottivo” piuttosto che chiamarlo con il tradizionale “padre putativo”.

Dalla paternità di Giuseppe risale alla paternità di Dio per ridiscendere poi al concetto e al ruolo fella paternità nel nostro contesto storico, nel quale tutta l’idea di famiglia esce piuttosto malconcia e scompaginata.

Quanto mai importante l’articolo di don Fausto Bonini, già direttore di Gente Veneta, sul problema della pastorale universitaria nata nel famoso “’68” e forse morente ormai e soltanto cinquantenne. Questo problema è da me quanto mai sentito perché a Mestre accompagnavo da un punto di vista religioso un gruppo di ben 400 maestri, ma temo che oggi siano non solo morti ma pure dimenticati.

Mi pare pure intelligente e appropriata l’analisi sociologica che Luciana Mazzer fa sul ruolo e sul supporto alla donna dell’uomo d’oggi. Partendo dalla figura di san Giuseppe, che da un punto di vista fisico non fu né marito né padre, mette in luce comunque la sua testimonianza che offre pure agli uomini di oggi un punto di riferimento quanto mai valido.

don Armando

Giuseppe, padre giusto
di don Angelo Favero

San Giuseppe, a cui si lega la festa del papà del 19 marzo, conserva immutata la sua attualità La Scrittura ci dice molto sulla figura paterna e sull’importanza sociale della paternità

Con il clima di pubblicità che respiriamo e che ormai costituisce la struttura portante della nostra società, la figura di San Giuseppe ha assunto il ruolo prevalente di festa del papà con relative vendite di regali. Di fatto la sua figura rimane per tutti un simbolo della paternità anche se dai contorni un po’ indefiniti. Per tanto tempo è stato denominato “padre putativo” di Gesù, ma forse sarebbe meglio chiamarlo “padre adottivo”. L’adozione rende giustizia di una paternità che seppur non fisica ha tutte le caratteristiche della generazione di un figlio; ne è testimonianza il diritto romano, ancor oggi faro di civiltà. Questo diritto, infatti, riconosceva la figura giuridica dell’adozione come un’autentica figliazione tanto da annoverare tra i criteri di riconoscimento ereditario anche i titoli più elevati come quello di imperatore. In realtà di Giuseppe, padre di Gesù, conosciamo poco e in concreto non conosciamo nessuna sua parola. Sappiamo che è definito uomo “giusto”; giusti sono definiti i genitori di Giovanni Battista in quanto “osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore”. Questo concetto di “giusto” subirà una radicale trasformazione in Paolo e sarà il tema fondamentale dell’annuncio cristiano: nessuno può vantarsi di essere “giusto” in base all’osservanza della legge che non è in grado di sottrarci al nostro peccato, ma possiamo essere “giustificati”, cioè resi giusti, per la fede che ci coinvolge nella croce di Cristo, unica redentrice del mondo. Giuseppe ci appare inoltre come l’uomo dei sogni: sulla scia della credenza di allora, Dio comunica la sua volontà attraverso il sogno e Giuseppe la riceve con fede, spesso una fede tormentata e angosciata, per l’incapacità di rendersi conto del mistero con cui Dio ha avvolto la sua famiglia. Il titolo più significativo di Giuseppe è quello di “padre”.

Tutta la Sacra Scrittura, in particolare il Nuovo Testamento, è impegnata nella ricerca del nome di Dio; in questa ricerca emergono i nomi di Padre e Figlio e Spirito. E’ Dio stesso che, volendo comunicare con l’umanità, ha scelto nel vocabolario umano a dimensione universale i termini più comprensibili per definire se stesso. Nell’Esodo Dio si era presentato a Mosè come “io sono colui che sono”; in realtà si trattava di una tematica di alto livello concettuale che poteva incutere un senso di rispetto di fronte alla grandezza infinita. Con Cristo a propria volta l’Infinito Divino si presenta come Padre, che ama il Figlio e ama noi figli sue creature nel Figlio. Gesù interloquisce spesso con il Padre e a titolo esemplificativo descrive il Padre nella sua radicale profondità attraverso la parabola del figliol prodigo. Si tratta di un Padre che è garante della libertà del figlio, anche del figlio prepotente e peccatore; è un Padre paziente che attende la revisione del figlio, che accoglie il figlio con la dimensione della mente e soprattutto del cuore; che nasconde i conti debitori del figlio per perdersi nella gioia del ritorno.

Oggi abbiamo qualche difficoltà a parlare del padre e del ruolo della paternità in un clima in cui l’unità familiare soffre di notevole carenza. E tuttavia avvertiamo che paternità e maternità sono strettamente connesse e rimangono inscindibili in quanto la “sola carne”: due persone in forza dell’amore reciproco diventano una nella persona del figlio. Non è opportuno sublimare questi termini genitoriali ma vale la pena di non perdere di mira il ruolo che i genitori devono esercitare attraverso quella autorità, che deriva dalla natura stessa. Vale comunque la pena di richiamare anche il valore e l’importanza della figura paterna che talora può apparire un po’ sbiadita di fronte alla preponderanza materna.

Con grande correttezza il diritto romano affermava mater semper certa pater nunquam. L’assioma vale per evidenziare il fatto fisico della concezione e della nascita per parte materna ma proprio per questo la figura paterna si colora di una dimensione non solo fisica ma anche morale e spirituale perché è avvolta nella fiducia e nella accoglienza sponsale dei coniugi.

Il punto di vista

Cosa ci insegna il passato
di don Fausto Bonini

Cinquant’anni fa scoppiavano le rivolte giovanili: proprio in quel periodo a Venezia nacque la pastorale universitaria che oggi sembra dimenticata e che invece andrebbe rilanciata

1968 e l’inquietudine scuote il mondo giovanile

A cinquant’anni di distanza il famoso Sessantotto continua ad essere denigrato o esaltato. Non appartengo né alla prima né alla seconda categoria. Non mi piacciono le analisi ideologiche. Un fatto comunque è certo: in quel periodo storico il mondo, soprattutto quello giovanile, era in forte ebollizione. Il primo marzo scoppiava la rivolta di Valle Giulia, dove si trova la sede di Architettura: 4 mila studenti, ma forse anche di più, si scontrano con la polizia. Occupazioni di Università si registrano un po’ in tutto il mondo. In aprile dello stesso anno in America viene assassinato Martin Luther King. In maggio scoppia la protesta a Parigi. In agosto Praga viene occupata dalle truppe sovietiche e a Venezia viene contestata la Mostra del cinema, lo, allora, ero un giovane prete. Nel ’68 avevo trent’anni e dopo aver fatto il cappellano a Jesolo e a Santa Marta per alcuni anni, ero stato incaricato di seguire i giovani di Azione cattolica e poi sono stato nominato assistente del Circolo femminile della Fuci, i giovani universitari cattolici, mentre frequentavo Ca’ Foscari per laurearmi in Francese.

A Venezia la protesta si trasforma in proposta grazie alla pastorale universitaria

A Venezia, centro storico, dove c’erano le Università, la Chiesa era ben radicata nel tessuto giovanile. Oltre alle parrocchie, era molto fiorente l’Azione Cattolica, guidata da don Valerio Comin nel settore giovanile, fiorente pure la Fuci e i G.S.M., cioè i Gruppi Studenti Medi, inventati da don Bruno Bertoli. I primi mesi del ’68 registrano delle novità significative nel mondo della pastorale rivolta agli studenti. Viene scelta la chiesa di San Pantalon, per la sua vicinanza alle sedi universitarie, come chiesa per la celebrazione della Messa e per altri momenti di preghiera. L’appuntamento è per la domenica a mezzogiorno. La chiesa è sempre superaffollata di giovani e la Messa è accompagnata dai canti sostenuti dal suono delle chitarre, grande novità allora, ma invisa e osteggiata dai “tradizionalisti”. La Messa è celebrata a turno da don Bruno Bertoli, don Nini Barbato, don Angelo Favero e il sottoscritto. Il 1° marzo un Decreto del Patriarca Urbani istituisce il C.U.C., cioè il Centro Universitario Cattolico, come suggerito dal Concilio Vaticano II nel 1965: “I Pastori della Chiesa… devono provvedere affinché anche presso le Università non cattoliche esistano convitti e Centri Universitari Cattolici, dove sacerdoti, religiosi e laici, accuratamente scelti e preparati, possano offrire alla gioventù universitaria un’assistenza spirituale e intellettuale di carattere permanente”. La canonica di San Toma diventa la sede del C.U.C, e la chiesa di San Pantalon il luogo della preghiera domenicale e feriale, mentre viene studiata la possibilità di far diventare San Pantalon o i Tolentini parrocchia universitaria. A cinquantanni di distanza il problema è ancora aperto. Anzi no, è stato chiuso. Definitivamente? Si spera di no. A Venezia c’è abbondanza di chiese e di canoniche che non si sa come utilizzare e la pastorale universitaria ha bisogno non solo di persone incaricate, ma anche di luoghi fisici (chiesa e locali adiacenti) dove i giovani che frequentano le Università di Venezia e i loro docenti possano trovare un luogo e delle persone (preti e laici) che offrano “assistenza spirituale e intellettuale di carattere permanente”, come propone il Concilio. Succederà tutto questo in un futuro prossimo?

La riflessione
Compiti e responsabilità
di Luciana Mazzer

Figlio, fratello, marito, padre, nonno. Questi, in sintesi, i ruoli dell’uomo nell’arco della vita. Per chi saprà farne tesoro, le esperienze, i sentimenti, le emozioni di figlio, saranno scuola per quando lui stesso sarà padre e nonno. Marito e padre sono i ruoli che solitamente l’uomo vive con più impegno, per più tempo e, giocoforza, con maggiore impegno e non senza sacrifìcio. Sempre con grande amore, proprio in virtù della complessità e la grandezza che questi ruoli comportano. Marito e padre per eccellenza fu e rimane senza dubbio San Giuseppe. Lui che non fu né l’uno, né l’altro, fece propri entrambi i ruoli per divino mandato, vivendoli, assolvendoli con straordinario impegno, esemplare fedeltà. La grande devozione che ho per questo santo ha fatto sì che nel tempo affidassi a Lui padre, marito, figlio. Il suo aiuto e la sua protezione non sono mai venuti meno, neppure nelle situazioni più difficili o disperate. Nella società civile, lavorativa, politica, religiosa, l’uomo ha sempre occupato un ruolo preminente. Nonostante, da tempo, la donna abbia dimostrato con i fatti la sua straordinaria valenza, solo da pochissimo e con grande difficoltà, egli ha iniziato a cedere o comunque a condividere con lei questo suo assoluto monopolio.

Ci sono voluti millenni, qualche secolo passerà prima che la reale, totale parità si realizzi. Se la maggior parte degli uomini vive con intelligenza e amore il proprio ruolo di marito e padre, in questi ultimi tempi sempre più numerosi sono i casi di mariti e padri carnefici. Individui violenti, in balia di un amore malato, in realtà inesistente, considerano la moglie o la compagna come assoluta ed esclusiva proprietà e, come tale, mezzo di sfogo e vittima delle proprie frustrazioni, insicurezze, fallimenti. Bambini adulti che del loro giocattolo intendono fare quello che vogliono. Guai però se il loro gioco si ribella e si sottrae alla violenza e alla crudeltà.

I carnefici sopprimono la donna che dicono di amare. 0 per farla soffrire maggiormente uccidono i propri figli, come vendetta ultima e contro natura. Alle donne il dovere di sottrarsi a tali crudeltà; alla legge provvedere nel più breve tempo con credibilità ed efficacia. Minore rispetto al passato il numero dei mariti, maggiore quello dei compagni.

Con mancanza di logica e discreta dose di viltà, oggi come oggi si preferisce la convivenza al matrimonio: stessi vantaggi, con possibile via di fuga per entrambi. Ciò nonostante, anche nel quotidiano della coppia sposata o convivente, le cose sono positivamente cambiate. L’interscambio dei rispettivi ruoli non è solo cosa intelligente e logica, ma sinonimo di reciproco amore e rispetto, specialmente quando ci sono dei figli. Nell’odierno quotidiano familiare, in cui donna e uomo lavorano, si realizzano sinergie impensabili per le generazioni che ci hanno preceduto. L’ultimo, e senza dubbio il più caro e tenero, è per l’uomo il ruolo di nonno. Pochi doveri, grandi e teneri piaceri. Come quello di abbandonarsi a dimenticati giochi, e ad indulgenze impensabili da concedere, in passato, ai propri figli. Al piacere di essere per i propri nipoti, anche quando saranno adulti, una figura di valenza suprema.

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