Una fabbrica per i morti

Durante il tempo di Natale ho dovuto far ricorso a tutte le mie risorse interiori per non lasciarmi scoraggiare durante le belle ed esaltanti celebrazioni, che ci rinnovano il convincimento che Dio ci è vicino, abita tra noi e non ci abbandona al nostro destino.

Il cimitero, per quanta fede possiamo avere, ci condiziona con un senso di mestizia che pervade tutta la cultura e la sensibilità della gente del nostro tempo. Il nostro cimitero poi, non ha la poesia, l’ordine, il buon gusto dei piccoli cimiteri dell’Alto Adige che sembrano abbracciare la chiesa e che sono curati con infinito amore e gusto, sembra più una fabbrica per i morti, percorsa da mezzi meccanici, ricolma di fiori finti di plastica, sbiaditi e spesso dispersi dal vento gelido, con strade piene di buchi e l’asfalto sberciato e corroso, non aiuta a intravedere le folle dei beati del cielo.

Infine la piccola chiesa umida senza nessuna pretesa d’arte, stinta ed incapace di contenere i fedeli che la scelgono per la preghiera domenicale, non facilita certo l’entusiasmo.

Fino a qualche mese fa c’era l’illusione che sarebbe arrivata la nuova chiesa, ora, con la stagione inclemente che alterna il gelo con la pioggia, la nebbia col vento del nord che sparpaglia i fiori finti, è caduta anche questa illusione.

Confesso che devo fare uno sforzo sovraumano per non attaccare frontalmente l’amministrazione veneziana lontana e inconcludente, quella locale succube ed altrettanto assente e l’azienda che gestisce il cimitero che lo fa con lo stesso stile con cui cura lo smaltimento dei rifiuti urbani.

Non mi resta ora che sognare la primavera!

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