Da “L’INCONTRO” – 8 ottobre 2017

Da “L’INCONTRO” – 8 ottobre 2017
settimanale della Fondazione Carpinetum dei Centri don Vecchi

Il sogno della redazione di questo settimanale è che arrivi ogni settimana in ogni famiglia di Mestre. “L’Incontro”, a tutt’oggi, è il periodico di ispirazione cristiana, offerto gratuitamente alla città, in cinquemila copie. Pensiamo che in nessuna città ci sia un periodico così diffuso. Quindi il mio invito è che ogni parrocchia si faccia carico di diffonderlo perché fra i bollettini parrocchiali è l’unico periodico cattolico che preferisce i contenuti alle notizie e agli appuntamenti e, fra l’altro, non fa alcuna concorrenza ai foglietti parrocchiali. E invitiamo i concittadini non solo a leggerlo, ma a leggerlo tutto.

Di questo numero segnaliamo l’articolo di don Sandro Vigani, a pag. 9, che parla della ricchezza spirituale degli anziani e quello di Adriana Cercato sulla “non violenza” e sulla resistenza passiva di Gandhi, l’uomo che, pur non cristiano, ha interpretato nella maniera più fedele l’insegnamento di Cristo per superare e risolvere soprattutto i problemi della difficoltà di rapporto fra i popoli e gli Stati.

 

Testimoni di fede e di vita
di don Sandro Vigani

Mi racconta che è triste perché la madre, ultranovantenne, andrà in casa di riposo. Si è recata a visitare il posto: piccole stanze anonime, una sala un po’ più grande per la televisione e i momenti di ricreazione, le pareti bianche e un’aria da ospedale. Mamma, che è lucida, nonostante l’età e gli acciacchi, come la prenderà? Le case per anziani sono il business del futuro, dato che la società invecchia sempre di più. Secondo un recente rapporto dell’lstat sul Veneto, la speranza media di vita per le donne arriva ad 84 anni, per gli uomini a 80.
Negli ultimi vent’anni le donne hanno guadagnato 5 anni di vita e i maschi addirittura 7. Andiamo verso una società di centenari. Altro dato: oggi nel Veneto su 100 abitanti 18 sono sopra i 65 anni. In un mondo dove le conoscenze sono sempre più parcellizzate, dove la specializzazione in ogni ambito e la velocità delle comunicazioni conduce a una frammentazione culturale che fa perdere l’unità della persona, la presenza degli anziani diventa, ancor più di un tempo, un dono inestimabile.
Ce lo ricordava Giovanni Paolo II in un messaggio nel quale parlava proprio di questa età della vita. E una lettera a tratti commovente, perché autobiografica: l’anziano Pontefice parla degli anziani e parla di se stesso. “L’anziano – ha scritto – può svolgere un suo ruolo nella società. Se è vero che l’uomo vive del retaggio di chi lo ha preceduto e il suo futuro dipende in maniera determinante da come gli sono trasmessi i valori della cultura del popolo a cui appartiene, la saggezza e l’esperienza degli anziani possono illuminare il suo cammino sulla strada del progresso verso una forma di civiltà sempre più completa”.
Una famiglia senza anziani rischia di perdere la memoria, il senso delle proprie radici e quindi dell’appartenenza a un nucleo sociale, una famiglia, un clan. E questo pregiudica la stessa coscienza della propria identità. Ma soprattutto gli anziani sono spesso testimoni di una fede profonda, assoluta in quella che essi chiamano “Provvidenza”.
La “Provvidenza” è fede in un Dio che non è solo un modello, un termine di paragone per la vita, un’ insieme di principi morali, Colui che si invoca solo quando si va in chiesa o si è nel bisogno. La fede di quelle persone anziane era fiducia in un Dio concreto, che “entra” nella vita di ogni giorno. Un Dio che si prende cura dell’uomo e lo avvolge col mantello della sua infinita misericordia. È una fede indiscutibile e assoluta, come l’aria che si respira.
Fatta di cose essenziali: la preghiera del mattino e della sera, la messa domenicale e spesso anche infrasettimanale, il rosario, la confessione…
E poi tanta vita. Sorge spontaneo il confronto con quella che è spesso la nostra fede, la fede dei cristiani d’oggi. Più consapevole, dopo il Concilio Vaticano II.
Più ricca di teologia, di conoscenza biblica, di possibilità di approfondimento intellettuale.
Ma spesso molto più povera di vita. Una fede che c’è, ruota attorno ad alcuni momenti importanti come la messa domenicale, gli incontri comunitari… Però poi si perde, si diluisce quando entra in contatto con gli appelli della vita quotidiana. E Dio rimane quasi alla porta, presente ma lontano. È un Dio che “guarda”, ma non “provvedere”. Non a caso qualche volta oggi si parla di ateismo cristiano o cristianesimo ateo, per indicare una fede che c’è, ma appunto non trasforma la vita.

Gandhi
di Adriana Cercato

Mohandas Karamcand Gandhi era detto il Mahatma che significa “grande anima”. Era considerato l’apostolo della “non violenza” e l’inventore della “disobbedienza civile”. Il suo insegnamento ha travalicato i confini dell’India, dov’era nato e vissuto, e si è diffuso nel mondo intero, influenzando tutti i movimenti pacifisti.
L’obiettivo di Gandhi era duplice: ottenere l’indipendenza per il suo Paese e combattere le grandi differenze sociali che avvelenavano il suo popolo. La popolazione indiana era divisa in caste: una piramide al cui vertice stavano i notabili, i potenti, e la cui base era rappresentata dai “paria”, gli intoccabili, considerati una sottospecie umana. Gandhi aveva un corpo minuto, scarnificato dai digiuni, malamente avvolto in una pezza di stoffa bianca che lasciava vedere un paio di consunti sandali da monaco; la grossa testa rapata, le orecchie fuor di misura e i rotondi occhialini di ferro completano la sua immagine, che tutti noi ricordiamo.
Eppure quest’uomo, privo di forma eroica, armato solo di intelligenza e fede nell’amore universale e nella non-violenza, ha messo in ginocchio il grande e potente impero inglese. Dopo decenni di paziente lavoro, sopportando carcere e umiliazioni da un “nemico” che rifiutava di odiare, Gandhi costrinse “Sua Maestà” britannica ad abbandonare l’India, da oltre un secolo colonia sfruttata economicamente e violentata nella propria millenaria raffinata cultura. Perennemente fedele ai principi che lo avevano accompagnato per tutta la vita, vide realmente realizzarsi il suo sogno il 15 agosto 1947, quando venne proclamata l’indipendenza dell’India.
Della vita e del pensiero del Mahatma è stato scritto moltissimo, ma quello che tutto il mondo ricorda di lui riguarda soprattutto questa sua enorme impresa. Come riuscì a realizzarla? Con la forza sbalorditiva della non violenza, del boicottaggio pacifico, della resistenza passiva e della ricerca della Verità cioè Dio. Come possiamo noi, oggi, applicare il suo insegnamento? Come possiamo essere anche noi portatori di pace in un mondo che continua a essere macchiato dalla violenza e dalle guerre? (2/segue)

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