Uno dei miei limiti è certamente anche quello di non sapermi rassegnare a situazioni più grandi delle mie possibilità o per le quali io non ho potere per affrontarle.
Penso che dovrebbe essere pacifico che, qualora non abbia le risorse per affrontare un problema di ordine pastorale o non abbia l’autorità per potermene occupare, dovrei starmene in pace perché “nessuno è tenuto a risolvere le cose impossibili” come dice una sentenza dell’antica Roma, perché dovrei rappacificarmi al pensiero che qualcuno ha già l’incarico di affrontare quel problema e se non l’affronta o tenta di risolverlo è colpa sua!
Invece no, mi struggo e perdo la pace al pensiero che ci sarebbero problemi pastorali che andrebbero affrontati con coraggio e con determinazione mentre spesso li vedi languire a lungo.
Il guaio che 54 anni di sacerdozio ed impegno in parrocchia mi hanno fornito una conoscenza tale per cui nasce istantanea una progettualità ogni volta che mi imbatto in qualche problematica del genere.
C’è certamente da dire che altro è progettare problemi a tavolino, altro è impegnare uomini, convincerli ad impegnarsi in soluzioni che non hanno prodotto loro, trovare talora mezzi economici adeguati e soprattutto avere a disposizione personale in un tempo in cui la coperta diventa sempre più corta, ed ognuno la tira dalla propria parte.
Ciò detto, rimane il fatto che Venezia è lontana, al di là del ponte, che nella città secolare tutto arriva ovattato e il tempo continua ad essere segnato più dai secoli che dai giorni e gli uomini che vi sono impegnati, spesso hanno fatto percorsi diversi e sono assorbiti da riti, rappresentanze e la vita cammina a piedi piuttosto che su auto veloci.
Fortunatamente però il buon Dio quasi sempre scrive dritto anche su righe storte!