Le pietre e la vita

Il matrimonio tra il grande fabbricato che sorge alla punta della dogana a ridosso della Basilica della Madonna della Salute e il “Marcianum” è stato di breve durata. Le vicende del Mose hanno affondato l’opera che il patriarca Scola considerava come il fiore all’occhiello della Chiesa veneziana e che, come tale, ha presentato al Papa Ratzinger.

Leggere sui giornali la comunicazione del patriarca attuale, il quale per motivi di ordine finanziario s’è sentito costretto a chiudere quest’ultima pagina altisonante ed impegnativa per la Chiesa di Venezia, mi ha costretto a riandare a quel vecchio e monumentale palazzo veneziano nel quale ho trascorso ben dodici anni della mia fanciullezza e della prima giovinezza. Il palazzone secentesco austero e massiccio è nato come convento dei Padri Somaschi. All’inizio del secolo scorso però venne occupato dal seminario che s’è trasferito da Castello alla punta della Salute.

Quando io vi entrai, nel 1942, ospitava ben 200 seminaristi dalla prima media all’ultimo anno della teologia. Il fabbricato non solo nel suo esterno è austero, ma pure l’interno era, fino a tre quattro anni fa, vecchio, cupo, soprattutto immenso. Eppure io vi passai dodici anni felici. Beata fanciullezza! Nonostante le regole, i cameroni di quaranta letti e le anguste camerette con le inferriate alla finestra quando ero chierico, vi passai tempi sereni e felici. Ricordo che alle 21 toglievano la luce e il “prefetto”, ossia l’assistente, chiudeva la porta a chiave.

Ai miei tempi, tutto sommato, il seminario aveva l’impronta del collegio dell’ottocento. Ripeto che, nonostante ci muovessimo sempre inquadrati a due a due, nonostante avessimo la divisa da questurino con tanto di cappello col sottogola, nonostante i corridoi fossero tanto bui, nonostante a motivo della guerra il cibo scarseggiasse assai, i miei ricordi sono belli. Ricordo con nostalgia non solamente quel tempo, ma anche quell’enorme palazzo.

Da quanto mi ha detto mio fratello don Roberto, che è entrato in seminario venti anni dopo di me, pure lui ricorda positivamente quel tempo trascorso in seminario; anzi, da quanto mi ha confidato, da dieci anni non vi ha messo più piede perché vuole ricordarlo così come l’ha vissuto.

Monsignor Vecchi vi ha operato delle modifiche significative, ma soprattutto il patriarca Scola l’ha trasformato in una università in linea col nostro tempo. Non ho capito a che cosa ora sarà destinato un fabbricato così enorme e così signorile. Qualcuno mi ha riferito che monsignor Pistollato, che attualmente è all’apice della Chiesa veneziana, ha affermato che ne faranno un albergo di lusso. Non mi meraviglierei, perché questo pare sia il destino di Venezia: una grande Veneland lagunare, con strutture alberghiere per turisti.

Pensavo poi che la cosa non sarebbe pure una novità in assoluto perché anche monsignor Vecchi, che aveva fiuto per gli affari, per alcuni anni ne aveva fatto una foresteria durante i mesi estivi, per racimolare un po’ di denaro per mantenere noi seminaristi. I vecchi monsignori di San Marco però misero fine all’iniziativa temendo che il profumo o qualche capello delle signore ospiti potessero mettere in pericolo la castità dei futuri preti. Ora staremo a vedere!

26.08.2014

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