Questa mattina ho terminato di leggere il volumetto dell’editrice Bompiani “Carlo Maria Martini-Umberto Eco – In che cosa crede chi non crede in Dio?”, che un magistrato amico ha avuto lo squisito pensiero di regalarmi.
Gli amici miei, ai quali confido le mie povere esperienze di ricerca religiosa di vecchio prete, forse ricordano che dissi, almeno tre settimane fa, le mie difficoltà di comprendere quanto questi due uomini di cultura – il cardinale di Milano e lo studioso non credente Umberto Eco – si sono scambiati attraverso un diario epistolare.
Come mai tanto tempo per leggere un volume di piccole dimensioni e di soltanto 123 pagine? Due sono i motivi. Il primo: il testo mi risultò talmente difficile che dovetti leggere e rileggere pur senza capire tutto. Forse questo dipende dai miei limiti di intelligenza e di cultura e forse ancora dalle nebbie della vecchiaia avanzata. Avendo una domenica citato il volume durante il sermone, una signora volle a tutti i costi che le fornissi i termini per acquistare il volume. Mi piacerebbe che venisse a dirmi cosa ne ha capito. Il magistrato che me l’ha regalato, persona colta e intelligente, mi disse che “è stimolante”. A me è parso che mi abbia messo in un ginepraio o, peggio, in un labirinto, per cui ho faticato tanto a uscirne.
Il secondo motivo è che un altro mio caro e giovane amico, assieme alla sua fidanzata, in occasione dei miei 60 anni di sacerdozio, mi ha regalato una vita di San Francesco, “Il gioioso mendicante” di Louis de Wohl della Rizzoli, un volume che invece è scritto come una favola incantevole. Perciò ogni tanto, soprattutto quando Eco e Martini mi “mettevano in difficoltà”, mi rifugiavo da San Francesco dicendomi, quando mi pareva di perder tempo: “Rimane pur sempre la vita del più santo degli italiani e il più santo dei santi!”, mettendo così in pace la mia coscienza e riposandomi a leggere “il romanzetto”.
Ritorno però allo scambio epistolare tra Eco e Martini. Mi è piaciuto il garbo, il rispetto reciproco, la ricerca onesta di ambedue di trovare i punti di incontro tra le tesi cristiane e quelle laiche, la grande intelligenza e la grande cultura: Martini più pacato e riflessivo, Eco invece che si lascia andare spesso allo sfoggio di erudizione e agli artifici del letterato. Comunque due belle teste!
Ho letto, vi confesso, con un po’ di trepidazione, il volume, temendo che Eco – cosa che non è assolutamente avvenuta – mettesse in difficoltà Martini e, di riflesso, mettesse pure in difficoltà il mio impianto di pensiero su Dio e su tutto l’indotto.
Ora, con estrema sincerità, devo confidare agli amici che m’è parso che Eco zoppichi terribilmente sulla domanda di fondo: “In che cosa crede chi non crede?”. Il pensatore laico, come è avvenuto per Scalfari su discorsi analoghi, si arrampica affannosamente sugli specchi, scivola da tutte le parti e non convince in maniera assoluta quando tenta di indicare le fondamenta portanti del suo pensiero. Gli atei vanno bene e riescono, quando tentano di demolire – questo però non è il caso di Eco né di Scalfari – ma s’ingarbugliano in discorsi astrusi e non convincono affatto quando tentano di giustificare il loro ateismo. Per fortuna e per grazia di Dio la mia fede ne è uscita indenne, anzi si è rafforzata dal confronto tra Eco e Martini.
19.07.2014