Quel che è troppo è troppo!

Le cerimonie, anche quando sono un segno di affetto e di simpatia, mi creano sempre un certo imbarazzo e mi mettono a disagio. Qualcuno ha definito la vita ordinaria di tutti i giorni “Il terribile quotidiano”, mentre io amo la vita ordinaria di tutti i giorni senza sorprese e senza eventi particolari.

Ho già scritto che venerdì 27 giugno cadeva il sessantesimo anniversario della mia ordinazione sacerdotale, le mie “nozze di diamante” con la Chiesa. Speravo di passare la data sotto silenzio, non tanto perché sottolinea la mia veneranda età, perché anzi oggi provo una certa ebbrezza a dire che ho ottantacinque anni, ma appunto perché le cerimonie mi mettono a disagio.

Prima mia sorella Lucia voleva far stampare “i santini” della ricorrenza e fare un pranzo con tutti i famigliari. Poi mio fratello don Roberto mi offrì di mandarmi il coro delle mamme di Chirignago a cantarmi la messa in cimitero. Infine scoprii suor Teresa che stava trescando per una cena fredda al “don Vecchi”, invitando tutti i residenti dei quattro Centri.

Feci finta di arrabbiarmi con tutti e per non rompere i rapporti e non mostrarmi ingrato mi proposi di offrire il gelato dopo la mia solita messa prefestiva del sabato, senza però avvisare nessuno per timore che anche i soliti assenti venissero per mostra o, peggio, per il gelato.

La cosa non rimase del tutto segreta, ma perlomeno molto contenuta, per cui “il quotidiano” non è diventato del tutto “straordinario”. Il giorno dopo però, quindi ieri mattina, ero convinto che alla messa delle dieci nella mia “cattedrale tra i cipressi” la cosa sarebbe passata inosservata. Invece, alla preghiera dei fedeli, il mio aiutante di campo, diacono ad honorem, il dottor Marco Doria, aggiunse una sua preghiera a quelle già preparate, ringraziando il Signore e domandandogli per me, in maniera un po’ “sfrontata”, altri sessant’anni di ministero sacerdotale. “Quello che è troppo è troppo!”. Presi la parola per chiedere al Signore di non ascoltare l’ultima parte della preghiera di Marco, il ragazzino quasi quarantenne conosciuto all’asilo parrocchiale di via Ca’ Rossa.

La “preghiera” finì per informare non tanto il Signore – che quelle cose le conosce bene – ma l’assemblea che gremiva la chiesa e ne era assolutamente ignara. Marco non aveva ancora terminato la preghiera con il consueto “Ascoltaci Signore”, che scoppiò uno scroscio fragoroso di battimani. Sapevo che la mia gente mi vuol bene, ma non fino a questo punto! Presi la parola per dire “grazie” e soggiunsi, commosso, che questo mio popolo della domenica è il più bel dono che il buon Dio mi possa fare. Augurerei a tutti i preti di avere ogni domenica gente così cara e così buona.

Beh! Le “nozze di diamante” mi hanno riempito il cuore di commozione e di consolazione. Non potevano essere più belle!

29.06.2014

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