Più di una persona mi ha detto che sono musone e poco espansivo. Hanno perfettamente ragione: non amo le cerimonie e le conversazioni; me ne starei volentieri in un canto, la vita pubblica mi pesa. I miei familiari affermano che assomiglio a mia madre che era piuttosto riservata, mentre altri miei fratelli assomigliano a mio padre che era aperto, espansivo e chiacchierone. Qualche altra persona invece ha aggiunto che metto soggezione con il mio atteggiamento così schivo e taciturno, tanto che si guardano bene dal farmi delle osservazioni.
Forse, io penso, sono timido e che è rimasto tale nonostante abbia sempre fatto vita pubblica.
In realtà a me non capita quasi mai di guardare la gente dall’alto in basso, anzi spesso soffro di complessi di inferiorità e di certo non ho una buona opinione di me stesso. Mi vien da pensare che dipenda dal mio cipiglio esterno, chiuso e riservato se c’è poca gente che mi fa critiche apertamente. Forse saranno invece molte quelle fatte alle mie spalle.
Questi problemi mi hanno accompagnato una vita intera rendendo tutto più faticoso. Non mi sono mai mancate le soddisfazioni, le espressioni di riconoscenza e certi risultati che non posso negare, però il peso della vita pubblica, il dover affrontare problemi e situazioni che ero, e sono, portato a valutare superiori alle mie possibilità, sono rimasti sempre presenti nel mio animo e nella mia coscienza.
Per decenni ho sognato e pensato alla pensione come all’approdo ad una vita senza queste preoccupazioni. Invece essa s’è rivelata un aggravante, perché il venir meno delle forze mi fa apparire ancor più gravi gli ostacoli.
Quante e quante volte mi sono rifugiato nella frase di sant’Agostino, il grande e saggio uomo di Dio, l’autore della “Città di Dio” e delle “Confessioni”, opere semplicemente sublimi, quando afferma: “E’ inquieto, Signore, il nostro cuore finché non riposerà in Te”. Oggi l’approdo all’isola felice che, sola, può liberarmi dalla “fatica del vivere” e che mi apre un varco di luce e di speranza sul domani, rimane la “casa del Padre” e “la Terra promessa”.
Gli ebrei ci misero quarant’anni per raggiungerla, mentre io, anche dopo gli ottanta, sono ancora in cammino.
27.06.2014