Ritorno alla mia visita al seminario perché è stato un evento per me pressoché “storico”. Dopo averci passato dodici anni della mia fanciullezza e prima giovinezza, ci sono ritornato poche altre volte. Ora poi credo che siano passati più di dieci anni dall’ultima visita. Di natura e per scelta io “mi tuffo” in quello di cui mi occupo e normalmente vi dedico tutte le mie risorse, motivo per cui mi resta ben poco tempo per altro.
Gli ultimi incontri con i preti li ho avuti in vicariato, ossia con i preti della zona di Carpenedo. Incontrarmi con tutto il clero veneziano è stato un evento abbastanza notevole. Scelsi un posto in fondo alla sala per poter osservare meglio i presenti e per poter uscire inosservato essendomi accorto che l’incontro non durava solamente per il tempo di una messa, come credevo, ma impegnava l’intera mattinata, cosa che non potevo permettermi anche perché ho fatto i salti mortali per farmi sostituire per la messa d’orario al cimitero.
Ho notato che i colleghi si conoscevano molto bene, tanto da scambiare battutine amichevoli e cordiali. Ho riconosciuto qualcuno del nuovo management, monsignor Dino Pistollato, mio vecchio cappellano, ora prelato assai influente, con la sua barba ben curata e forse l’unico – se si eccettua il Patriarca – che era in tonaca. Ho riconosciuto monsignor Barlese, mio successore a Carpenedo, monsignor Orlando, già parroco in via Piave, e qualche altro notabile. Poi ho osservato “la nuova guardia”, fatta di giovani preti disinvolti, con lo zainetto in spalla, però composta da volti puliti e sereni.
Tutto sommato ho avuto una buona impressione del clero della mia diocesi, mi è parso formato da buona gente. La sala era quasi piena, quindi penso saremo stati più di un centinaio di preti di varie età. La sensazione che ho avuto è di un clero certamente non composto da “arditi”, da “guastatori”, da gente di rottura. Non mi è parso di conoscere gente da “prima linea” che si è fatta notare per ardimento particolare e per essere scesi nelle barricate del nostro tempo.
S’è seduto accanto a me don Antonio Biancotto, che molti anni fa fu mio aiutante alla San Vincenzo di Mestre. E’ rimasto quello di un tempo: una voce calda e fraterna ed un volto buono, due occhi un po’ trasognati. Eppure in questi ultimi anni è stato il prete delle cui gesta s’è parlato di più a Venezia. Assistente dei carcerati a Santa Maria Maggiore, è stato il prete che ha diretto le varie “missioni di strada”, ossia ha guidato giovani provenienti da altre città, ma anche qualcuno dei nostri, che a più riprese hanno tentato di parlare di Gesù ai veneziani e ai foresti che incontravano nelle calli e nei campielli di Venezia.
Ho avuto l’impressione che questo che era il più pacifico ed indifeso dei preti giovani che ho conosciuto, sia diventato anche il più ardito. Ho ascoltato le testimonianze di tre colleghi di età diverse, mi sono ritrovato un po’ di più in quelle di Torta, parroco a Dese e frequentatore dei magazzini del “don Vecchi”. Gli altri mi sono sembrati sublimi, celestiali. Io di certo dovrò fare tanta strada per arrivare a quella spiritualità, ma me ne manca il tempo e poi temo di non averne neppure la voglia, perché preferisco rimanere con la povera gente di questa terra.
11.06.2014