Il seminario

Giovedì scorso sono andato in seminario perché si celebravano i giubilei di sacerdozio. Ci sono andato con fatica perché sono vecchio e perché non amo troppo i discorsi spesso inconcludenti, ma ho voluto far contento il nuovo Patriarca che nell’unico incontro che ho avuto con lui ha riassunto le lacune che mi riscontrava come sacerdote della Chiesa di Venezia in questi due difetti predominanti: «Sei vecchio; non vieni mai agli incontri sacerdotali».

Sono andato quindi per dargli questa consolazione e anche perché quest’anno celebro il 27 giugno le mie “nozze di diamante” di sacerdozio e quindi speravo di offrire almeno una piccola testimonianza di fedeltà alla Chiesa per i preti più giovani.

La prima fase dell’incontro ha avuto luogo nel refettorio costruito dai padri Somaschi, un salone grande, austero, con un pulpitino di marmo ove un tempo si leggeva la vita dei santi durante il pranzo, con in fondo una grandissima tela raffigurante l’ultima cena.

Ora questa sala è stata adibita ad auditorium; restaurata di recente è molto signorile. Ai miei tempi aveva i tavoli da pranzo accostati alla parete ove veniva servito il pranzo dai “seminaristi camerieri di turno”. Quante rape! Quanti fagioli! Quante alette di pollo! Un anno abbiamo perfino celebrato in maniera goliardica il “centenario del fagiolo”, tanto erano frequenti i fagioli in tavola!

Poi gli occhi si sono posati ove ai miei tempi c’era il pulpitino di legno posto di fronte a quello di marmo dei vecchi frati. A turno, dopo cinque ore di scuola, leggevamo la vita del santo del giorno. Non dimenticherò mai quella di un certo santo che era talmente santo che perfino nella prima infanzia, per mortificarsi nei giorni di digiuno, rinunciava a poppare il seno di sua madre! Eravamo più creduloni a quel tempo, ma non tali da non farci una risatina di compatimento il giorno in cui toccava la vita di questo santo: Dopo la vita del santo si leggeva un volume di contenuto più ameno. A me è capitato un anno di leggere quel bellissimo ed avvincente romanzo di Franz Werfel “I quaranta giorni di Mussadag”, volume nel quale si raccontava il tragico assalto, per motivi religiosi, dei turchi ad un villaggio armeno durante la feroce persecuzione degli ottomani agli armeni di religione cristiana. Nonostante la trama fosse davvero avvincente, la stanchezza per la scuola e la difficoltà dei nomi armeni mi resero un vero calvario quella lettura e motivo di infinite risatine da parte di quell’uditorio più attento al piatto che alla trama del racconto.

Giovedì il mio impatto emotivo è stato notevole, perché il ricordo, pur annebbiato dal tempo, era di un edificio fatiscente che tutto sommato manteneva il volto dell’antico convento, mentre ora sembra un “albergo cinque stelle”, in cui la vetustà è messa in cornice.

Il cardinale Scola, a quanto ho sentito dire, ha lasciato dei debiti, ma pure una bella e ricca eredità.

10.06.2014

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