Per undici anni ebbi come mio collaboratore don Marco, un giovane prete che ogni tanto lasciava per alcuni giorni la parrocchia per andare a “a ricaricarsi” – come diceva lui – presso un qualche convento. A suo parere aveva bisogno ogni tanto di questi stacchi dalla routine quotidiana per confrontarsi, nella quiete di un convento, con la spiritualità della vita monastica.
La cosa non mi sorprendeva più di tanto perché anche il mio vecchio parroco di San Lorenzo, monsignor Vecchi, diceva di aver bisogno di questi periodi “sabbatici”, per ritemprare il suo spirito. Pure mio fratello don Roberto, che è sempre stato un grande ammiratore della regola di san Benedetto, specie nel passato, si rifugiava talvolta nell’abbazia di Praglia per confrontarsi con l’abate che lui riteneva saggio e santo. Ora credo che abbia smesso queste frequentazioni monastiche e quando è proprio stanco di “vita parrocchiale” si rifugia nel suo piccolo ma attrezzato laboratorio di falegnameria per costruire presepi per Natale o va a imperlinare le pareti degli edifici parrocchiali.
Io, che sono ben cosciente di esser poco incline alla mistica, non ho mai avvertito queste esigenze e quando sono proprio stanco o deluso – perché ad un prete può capitare anche questo – stringo i denti e vado avanti. Spesso mi sono identificato – non so se a torto o a ragione – al cavallo del famoso romanzo “La fattoria degli animali”, romanzo che descrive la vita di un Kolchoz sovietico, una specie di fattoria in cui il cavallo rappresenta lo spirito stachanovista. In ogni frangente veniva chiamato il cavallo a supplire alla stanchezza degli altri fintantoché un brutto giorno, sfiancato per la fatica, crollò tra le stanghe sotto il peso del suo carico. Forse sono presuntuoso o forse sono stupido, comunque penso che le cose vadano così.
Però, a pensarci bene, anch’io talvolta ho qualche rara evasione “di ordine mistico”. Infatti non so chi abbia dato il mio indirizzo alle carmelitane scalze che hanno un convento a Cannaregio a Venezia. Comunque, due o tre volte all’anno, specie a Natale e Pasqua, loro mi mandano dei biglietti di augurio dai contenuti altamente spirituali, assicurandomi la loro preghiera. Io ricambio gli auguri e allego sempre qualche piccolo contributo per sopperire alle loro necessità perché sono certo che possono contare solamente su magre risorse.
Non sono mai stato nel loro convento, non ho mai visto i loro volti, non so i loro nomi e sono pure certo, per quanto mi conosco, che non andrò mai a visitarle, ma mi consola, rasserena e conforta il sapere che una piccola comunità di donne che si sono consacrate a Dio mi vogliono bene e pregano per me. Il fatto poi che il mio interesse nei loro riguardi sia soltanto un sogno, mi rende il rapporto più bello, più caro e più ricco di consolazione.
30.05.2014