Sono ben conscio che qualcuno può reputare fatuo l’argomento che sono sollecitato ad affrontare partendo da una cara e nobile tradizione veneziana.
Per San Marco anche quest’anno si è ripetuto il bel gesto di offrire una rosa alla propria donna, che non necessariamente deve essere la fidanzata, la moglie o l’amica, ma che possono essere, come nel caso mio, le suore che mi aiutano, o le donne dell’est che da anni sono lontane dal marito, dai figli e dalla loro terra e non si sentono ripetere “brava!”, “ti voglio bene” o “ti sono riconoscente”, oppure una creatura che pur ha nel petto un cuore di donna assetato di tenerezza, ma che non può sognare l’amore secondo gli schemi comuni.
Il mattino della festa di San Marco sono andato dal fiorista per acquistare otto rose rosse col gambo lungo per offrirle come segno di affetto e di riconoscenza a donne che vivono con me nel piccolo borgo del “don Vecchi”. Se però avessi potuto seguire l’impulso del mio cuore ne avrei acquistate cento di rose rosse per donarle a quelle creature che per San Marco non hanno nessuno a porre loro in mano una rosa rossa con un sorriso guardandole negli occhi.
Questo gesto gentile non lo reputo affatto romantico, ottocentesco o sentimentalismo dolciastro, ma segno di autentica virilità. A me capita assai di frequente, facendo il prete in cimitero, che in maniera più o meno esplicita mi si chieda di dire a chi sta partendo per il Cielo le parole care e belle che altri avrebbero dovuto dire e che pur avevano una vita per poterle dire. Quante volte non mi son chiesto perché le belle composizioni di fiori, le espressioni variegate dell’amore non si manifestano nei tempi propizi, per non rimpiangere poi di non averle dette o per dirle a tempo scaduto.
Il buon Dio ha riempito il cuore di ogni creatura del sentimento dell’amore che è il fiore più bello, più importante e più gradito, mentre tantissimi uomini lo seppelliscono dentro il proprio cuore e lo coprono con una lapide cupa e pesante, quando invece esso è destinato a rendere bella e sorridente la vita.
A questo proposito conservo nella memoria due testimonianze apparentemente opposte, ma che invece esprimono lo stesso bisogno e lo stesso dovere.
Molti anni fa un omone con due baffi alla Guareschi mi fece questa confidenza, mentre i suoi occhi faticavano a trattenere le lacrime: «Io amo con tutto il mio cuore mia moglie, ma in cinquant’anni di matrimonio non sono riuscito mai una volta a dirglielo». E un’altra volta, più di recente, avendo letto un articolo di una cara collaboratrice, nel quale suggeriva ai lettori di dire di frequente alle persone con le quali si vive, “ti voglio bene”, perché ciò rende più facile e più lieve la vita, incontrandola, tra il serio e il faceto, le dissi la frase che lei suggeriva con tanto calore. Dapprima rimase perplessa, poi ci mettemmo a ridere divertiti ambedue. L’amore è un fiore che deve sbocciare e quando nasce da cuori sereni, fa sempre bene!
01.05.2014