Uno dei miei drammi attuali – e, credetemi, non esagero nello scrivere “drammi” – è quello dei disoccupati che la crisi economica, nonostante Letta ci dica frequentemente che ci siamo lasciati alle spalle i brutti tempi, sta producendo ogni giorno più numerosamente.
A motivo dei Centri don Vecchi, di qualche iniziativa caritativa del passato e del presente e soprattutto della diffusione de “L’Incontro”, capisco di essermi fatto una certa fama in questo settore della vita cittadina. Ogni settimana almeno ventimila concittadini possono conoscere facilmente i mio indirizzo e il mio numero di telefono dalla facciata del nostro periodico, motivo per cui non passa giorno che io non riceva almeno un paio di telefonate per domandarmi se posso aiutarli a trovare un posto di lavoro.
Purtroppo ormai da tempo non posso assolutamente offrire neppure un pur esile consiglio. I giornali ci informano a iosa sui licenziamenti nelle fabbriche di una certa consistenza, però c’è pure un sottobosco di impieghi presso artigiani, di piccoli commercianti o semplicemente impieghi a livello personale, nel quale c’è una falcidia di concittadini che rimangono senza lavoro. Nel contempo dal mio piccolo osservatorio vengo a conoscere che la stragrande quantità di anziani vive sola, perché ormai la convivenza con i figli è praticamente scomparsa per una infinità di motivi, ma soprattutto perché la famiglia a dimensione patriarcale non esiste più.
Quando chiedo ai famigliari, in occasione del commiato, dove e come viveva il loro vecchio genitore rimasto solo, nella stragrande maggioranza mi si risponde che viveva con una badante, aggiungendo poi, quasi a scusarsi da un eventuale giudizio meno positivo, che era ben accudito e che loro lo visitavano di frequente. Mai mi capita di sentirmi rispondere che a fare questa assistenza sia stata una donna italiana.
Nei dieci anni da quando ho fatto “questo lavoro”, mai, assolutamente mai, mi è stato detto che “il vecchio” era accudito da una donna delle tantissime famiglie italiane in difficoltà, ma sempre da una extracomunitaria.
Non voglio di certo aggiungermi a chi afferma che gli italiani vogliono lavorare poco e percepire un buon stipendio, però resta il fatto che certi lavori faticosi, come quello a cui sto accennando, sono pressoché rifiutati in partenza dai nostri compatrioti.
Una volta ancora ritengo doveroso affermare che la nostra vita deve essere più sobria, deve avanzare meno pretese e meno diritti e tutti devono lavorare in maniera più seria, consapevoli che “il tempo delle vacche grasse” è certamente finito ed è doveroso condividere la sorte di più di tre quarti dell’umanità che da sempre vive un tempo di “vacche magre”.
02.02.2014