Ho la sensazione, anzi quasi la certezza, che molti miei colleghi e forse anche il mio “governo” non capiscano e non condividano il mio impegno a favore degli anziani poveri. Le insinuazioni che furtivamente mi giungono all’orecchio sono diverse e quasi mai benevole. Qualcuno mi accusa di mania di protagonismo, “mal della pietra”, voglia di emergere ed altro ancora. Qualche altro accampa motivazioni vetero-comuniste, arcaiche, irrazionali e superate, ma ancora superstiti in qualche nostalgico del passato, affermando che a queste cose ci deve pensare lo Stato o il Comune o, comunque, l’ente pubblico, perché questi compiti non sono di pertinenza della Chiesa.
Per le prime insinuazioni neanche tento una difesa: è giusto che anch’io porti la mia croce. Ma per questi ultimi mi è sempre venuto da domandarmi: “Ma che ci sta a fare la carità cristiana e, meglio ancora, il comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso”, se poi non si realizza un qualcosa di concreto?
Qualcuno che mi vuol bene pensa che questi giudizi malevoli siano un modo volgare per nascondere il proprio menefreghismo, il proprio desiderio di quieto vivere che viene turbato dall’impegno altrui. Qualche altro pensa che si tratti di invidia o di una reazione per giustificare il proprio disimpegno. Comunque la pensino gli uni e gli altri, è mia convinzione profonda che il comandamento dell’amore reciproco debba essere calato giù dalle nuvole e concretizzarsi in strutture o servizi, anche se questa operazione di concretizzare le scelte e gli ideali sempre si impoveriscono a motivo dei nostri limiti. Io, in questa stagione della mia vita, fra tutto il possibile e il necessario, mi sono ritagliato una piccola fetta: la residenza per gli anziani poveri, pur sapendo che il campo della carità è semplicemente immenso.
Voglio aggiungere che quando un uomo di Chiesa fa una scelta di questo genere, essa debba avere delle caratteristiche ben definite che la qualificano come autentica carità cristiana. Perciò ho eliminato fin da subito i settori che sono già abbondantemente presidiati o dall’ente pubblico o dagli enti di commercio. Ritengo invece che la Chiesa debba intervenire in presenza di queste condizioni:
- Quando apre una strada nuova con delle soluzioni innovative e quando, risultando questa sperimentazione collaudata e positiva, lasci pure che altri si occupino del progetto e lo portino avanti in scala più vasta.
- Quando l’opera è offerta alle classi più povere e quindi possono accedere a questa struttura o a questo servizio anche i soggetti meno abbienti che non potrebbero mai permettersi di fruire di realtà costose e superiori alla portata delle sue possibilità.
- Quando l’opera offre delle soluzioni rispondenti alle attese della povera gente, è rispettosa della persona e permette agli utenti di realizzarsi in maniera compiuta e pure rispondente agli standard del nostro tempo.
Da queste premesse credo che un prete non debba mai fare concorrenza alle strutture esistenti, non debba mai impegnarsi per le classi agiate, non debba puntare al lucro ed offrire soluzioni sgangherate, fuori tempo e non degne di essere destinate ai figli di Dio.
Questa è la mia dottrina e spero di essermi sempre attenuto ad essa nei miei impegni di ordine sociale.
16.11.2013