E’ ormai da molto tempo che vado riflettendo su un argomento che pian piano mi fa intravedere un varco nel grigiore di una nebbia molto spessa in cui tante volte mi trovo avviluppato e in cui sto procedendo con dubbi e molte perplessità ed incertezze. Mi pare che per la stragrande maggioranza dei cristiani del nostro tempo si ritenga che fede e religione siano quasi due sinonimi per esprimere la stessa realtà, mentre questi due termini hanno dei contenuti estremamente diversi, anche se mantengono tra di loro un legame esistenziale.
La fede è fiducia assoluta ed illimitata in un Dio a cui dobbiamo tutto: la vita, il creato, l’oggi e il domani. Per noi cristiani poi questa realtà sublime ed indefinibile è rappresentata dal concetto di Paternità, per cui Dio non è una verità fredda, lontana ed assoluta, ma ha il calore e l’amore di Padre che ha voluto renderci partecipi della sua infinita ricchezza.
François Mauriac, il celebre pensatore e letterato francese, ha affermato infatti che se Gesù, venendo a questo mondo, non ci avesse annunciato altro che “Dio è nostro Padre” e che possiamo rivolgerci a Lui con questo nome, la sua venuta sarebbe più che mai giustificata per questa sola straordinaria notizia. La fede è veramente la pietra preziosa che dobbiamo custodire e difendere ad ogni costo, perché essa sola dà significato alla nostra vita.
Mentre la religione è tutto quell’apparato di pensiero, di riti, di usanze e di tradizioni che hanno come fine di alimentare, custodire e aiutare l’uomo a tradurre in scelte di vita la luce che riceve dalla fede.
Allora, se le cose stanno così, la fede è un assoluto, mentre la religione è condizionata dal tempo, dalla cultura, dall’evoluzione del pensiero umano, dalla stessa scienza e dalla tecnica. Perciò la religione non solo è soggetta alle singole culture dei popoli diversi, dall’evoluzione, dall’emancipazione dell’uomo, dai condizionamenti di mentalità e costumi che si vanno evolvendo; anzi la religione deve essere, per sua natura, una realtà che deve evolversi, adattarsi ai tempi nuovi e trovare modo di esercitare il suo compito in relazione al progresso umano.
Quindi la religione ha un compito sublime, ma nello stesso tempo corre il grosso pericolo di diventare una incrostazione del passato, o di ingessare la fede soffocandola in una morsa mortale. Se mi è lecito fare una osservazione, credo che abbiamo bisogno di una religione sempre più duttile, sempre in una evoluzione più rapida perché la maturazione del pensiero umano è più veloce che nel passato.
Sto leggendo un bel volume di Enzo Bianchi, il fondatore della comunità monastica di Bose, che afferma che la Chiesa “deve sempre convertirsi (cambiare) e sempre riformarsi”. A ben pensare i rapporti di Gesù con la religione sono molto particolari: mentre possiamo affermare senza dubbi che Gesù fu un uomo di fede, non possiamo dire con altrettanta certezza che fu “un uomo di Chiesa”. Si avvalse della religione, ma non ne fu schiavo. Credo che questo sia un problema su cui è bene riflettere.
03.11.2013