Lo zio Tom

Qualche giorno fa mi è capitato per caso di imbattermi in un film molto datato sulla vicenda del famosissimo romanzo “La capanna dello zio Tom”. Ripeto che la pellicola era molto vecchia e soprattutto lontana dai nostri film rapidi, disinibiti, per nulla convenzionali e soprattutto quasi mai positivi. La trama era elementare e sempre scontata.

Ho visto il film fino alla fine, anche se ogni episodio mi risultava prevedibile, però sono stato risucchiato dalle emozioni provate quando, ancora adolescente, lessi questo celeberrimo romanzo che aveva come protagonista il vecchio zio negro, saggio, giusto e fiducioso nel Signore, che teneva desta la speranza dei negri condotti in America dagli schiavisti per lavorare nelle piantagioni di cotone delle contee degli stati del sud. Zio Tom non conobbe la dottrina di Gandhi sulla “forza della non violenza”, ma ne fu di certo l’antesignano che seminò nella coscienza dei suoi fratelli in schiavitù la speranza nell’aiuto del Signore e nella liberazione.

Mentre scorrevano sul piccolo schermo gli episodi, “innocenti” da un punto di vista cinematografico, il mio pensiero si è collegato all’impegno ancor non violento del pastore protestante Martin Luther King che, proseguendo la lotta non violenta dello zio Tom, liberò finalmente, almeno da un punto di vista legislativo e formale, i cittadini di colore degli Stati Uniti d’America. Pure Luther King fu assassinato dai concittadini che presumevano di appartenere ad una razza più evoluta, però la bandiera dell’emancipazione è stata recentemente raccolta dal giovane presidente Obama che proprio in questi giorni ha combattuto e vinto, all’ultimo momento, la protervia dei repubblicani che ancora una volta hanno tentato di sfruttare i più poveri e i più deboli tentando di privarli dell’assistenza medica.

Mentre seguivo questo filo sottile che legava il lontano passato con le conquiste attuali dei negri d’America, ho compreso che non possiamo valutare il risultato dei nostri tentativi nell’angusto spazio dell’immediato, ma che dobbiamo “seminare nel pianto” perché altri, in tempi anche molto lontani, possano in futuro “raccogliere nella gioia”.

Non ho per niente rimpianto di aver impegnato una serata per vedere una pellicola così scontata ed “innocente”, perché la presa di coscienza che la semente sepolta su quella terra grigia ed inerte prima o poi fiorirà per il bene delle future generazioni mi ha fatto molto bene.

Noi raccogliamo i frutti che sono stati bagnati dalle lacrime e dal sudore dei nostri padri, così è giusto e doveroso che noi seminiamo, pur nel sacrificio, perché i nostri figli o nipoti, o pronipoti, raccolgano il frutto del nostro impegno.

01.11.2013

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