L’ultimo fiore

Per moltissimi anni non ho degnato neppure d’uno sguardo le piante grasse: molte di esse sono munite di spine acutissime, quasi sempre hanno una forma per nulla agile, anzi mi sembrano spesso delle polente, più o meno grandi, di un verde opaco, paciose e sornione, assolutamente inodori, da sembrare quasi dei nani addormentati che non fanno un sussulto neanche se spira la più dolce delle brezze.

Questo atteggiamento di fondo s’approfondì ulteriormente quando un mio vecchio amico intelligente e sornione mi regalò una pianta grassa che assomigliava ad un pallone, ma che, a differenza del pallone, aveva delle spine lunghe ed acutissime, tanto da dovervi girare al largo. Quando mi regalò questa pianta grassa, sapendo che i miei rapporti con la curia non sono mai stati idilliaci, me la presentò come “il fiore della curia”.

La misi sul davanzale, ma una gelata particolarmente rigida dello scorso inverno la fece morire, cosicché non ho più sul davanzale “il dolce e suadente sorriso” della curia. Però ho capito che ci si può innamorare anche in tarda età; ho sentito infatti più di uno affermare che l’amore è cieco e mai razionale.

Le cose sono andate così: una signora amica mi portò in dono, in un pomeriggio d’estate, una pianta grassa che aveva sulla “pancia” una protuberanza marcata e che il giorno dopo mi offrì un fiore di una inaudita bellezza, che mi incantò e mi costrinse ad uscire più volte nel terrazzino per accarezzarlo con uno sguardo pieno di ammirazione, anche perché quel bellissimo fiore – mi aveva avvertito la signora – dura solo un giorno.

Questa pianta in un paio d’anni ha generato figli, nipoti e pronipoti, tanto che dovetti cambiarla di vaso e darle una dimora più grande (le piante infatti pare che non si preoccupino del controllo delle nascite!). Quest’anno fece, in tempi successivi, una decina di fiori. Ieri è sbocciato l’ultimo. So di certo che è l’ultimo fiore per quest’anno. Per godere della sua bianca dolcezza, del suo sorriso che spunta tra le spine acute e bellicose dovrò aspettare la prossima estate.

Ieri, mentre chiudevo le imposte per la notte, gli diedi un ultimo sguardo malinconico di tenerezza e di riconoscenza, mentre mi saliva dal cuore il cantico del poverello d’Assisi: “Laudato sii, mi Signore, anche per le piante grasse inodori e piene di spine”. Ho capito finalmente che se niente niente avessi degli occhi più vigili ed un animo più semplice, ogni giorno coglierei le mille attenzioni del mio Signore ed avrei mille motivi per amarlo e ringraziarlo.

30.08.2013

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.