Domenica scorsa la Chiesa mi ha chiesto, come a tutti i preti del mondo, di commentare il brano del Vangelo che racconta il mandato che Gesù dà ai 72 discepoli: “Predicare il Regno”.
Oggi la carenza di vocazioni, e quindi di preti, è conosciuta anche da chi pratica poco la nostra Chiesa. A leggere questa pagina del Vangelo non sembra però che questo sia un problema solamente del nostro tempo, ma una carenza cronica per le comunità cristiane, se già Gesù l’aveva notato. Lui però, a differenza della gerarchia attuale, l’ha risolto con una soluzione semplice e svelta, incaricando la gente che gli dimostrava fiducia di andare a testimoniare il suo messaggio, dando degli obiettivi precisi: essere accanto a chi soffre ed ha bisogno, portare pace ed annunciare che “Il Regno” è vicino, ossia che è possibile per tutti vivere il progetto che Egli era venuto a portare.
Sabato scorso ho celebrato la messa prefestiva agli anziani del “don Vecchi”, domenica una messa in parrocchia a Carpenedo alle 8,30 e una alle 10,00 nella chiesa del cimitero. Ognuno può facilmente immaginare il tipo di persone alle quali mi sono rivolto, persone buone e devote, però prive di specializzazioni dogmatiche, bibliche, patristiche, ecc. e d’altronde mi è parso che dovessi far loro capire che essi erano “i discepoli” che Gesù mandava dando loro obiettivi semplici e concreti, quindi alla portata di tutti e prescrivendo uno stile di vita sobrio, naturale, sereno, senza preoccupazione di portare risultati eclatanti, perché il loro compito si fermava all’annuncio; circa la risposta, la responsabilità rimaneva su chi riceveva la proposta. Quindi tutto il mio discorso s’è basato sul fatto che parlavo per chi mi ascoltava, non per ipotetiche persone sconosciute.
Mi sono adoperato perché ognuno uscisse di chiesa convinto che doveva far qualcosa per chi non crede o non crede molto. Ho quindi insistito sul fatto che ognuno è all’altezza di questo compito, pur non essendo stato in seminario per 14 anni, pur non avendo fatto noviziato di sorta, pur non avendo alle spalle studi particolari.
Un tempo un dirigente di una grandissima azienda m’ha detto che egli assumeva non chi avesse titoli cartacei da presentare, ma chi aveva attitudine a vendere, perché solamente questi erano produttivi. Credo anch’io che si debba tirar giù dall’empireo della cultura ecclesiastica, spesso sofisticata, macchinosa e difficile, gli operai del Regno, per reclutare invece i semplici e gli umili di cuore.
Per poi calcare l’idea che oggi è tempo dell’impegno dei laici, ho raccontato che molti anni fa suonarono alla porta della mia canonica due giovani che, una volta fatti accomodare, mi dissero: «Signor parroco, vorremmo dirle delle cose che lei sa già, ma che noi riteniamo importante ribadire: “Dio ci vuole bene, è disposto a perdonarci e ci aspetta in fondo alla strada della vita”.
Vi confesso che questa “predica”, ascoltata almeno venti anni fa, è stata quella che ricordo meglio e che mi ha fatto più bene. Ora spero che quelle quattro, cinquecento persone alle quali domenica ho detto queste cose, siano già all’opera!
07.07.2013