Non so se sia solamente casuale oppure appartenga ad un disegno della Provvidenza, che il funerale di don Gallo sia stato celebrato lo stesso giorno in cui papa Francesco ha portato all’onore degli altari don Pino Puglisi, il prete assassinato dalla mafia perché ha avuto l’ardire di attuare il Vangelo a Palermo.
Don Gallo e don Puglisi, a mio parere, fanno parte ambedue di quella piccola schiera di “preti folli” che hanno tentato di praticare un cristianesimo radicale e da Vangelo, a differenza della gran massa di preti, anche per bene, che però non tentano di uscire dai ranghi per tradurre il messaggio di Gesù, la “buona notizia”, nella realtà cruda del nostro tempo, ma che preferiscono la religiosità quieta che vive nelle sagrestie e celebra i riti cristiani in santa pace, senza scomodare la coscienza di alcuno.
Don Gallo e don Puglisi erano tanto diversi fra loro, hanno operato in ambiti tanto lontani, uno nel nord borghese e benestante, l’altro nel profondo sud povero e sottomesso ad una tradizione di mafia e sopruso; eppure hanno avuto ambedue in comune la radicalità evangelica, il coraggio di andar contro corrente, di osare quello che umanamente sembra per tutti folle ed impossibile.
Ho già parlato della testimonianza ardita ma solitaria di don Gallo, che penso nessuno mai si sarà sognato di nominare monsignore, anzi che è sempre stato guardato con sospetto perché ha abbracciato la causa degli ultimi.
Don Puglisi, pur con una testimonianza ed un taglio di vita da prete in ambito e con modalità diverse, perseguì la stessa utopia di don Gallo. Mi sono tante volte domandato in questi venti anni che ci separano dalla sua morte: “Al tempo in cui visse ed operò nel sud questo parroco e fino ad oggi, quanti sono stati e sono i preti che operano nelle terre desolate dominate dalla mafia? Centinaia, migliaia, forse decine di migliaia! E come mai “l’onorata società” ha trucidato solamente – o quasi – don Pino? Di certo essi erano e sono “buoni preti”, che però hanno poco a che fare con il Vangelo di Gesù, anche se portano titoli di merito e sottane rosse.
Mi viene da gridare a questo nostro amato popolo di Dio, e soprattutto ai miei colleghi preti: “ammiriamoli e siamo almeno orgogliosi dei nostri campioni e dei nostri martiri, anche se noi non riusciamo a far altro che tirare le ciabatte e lustrare i candelieri dell’altare!