Io, tutto sommato, sono nato come prete dopo il Concilio Vaticano Secondo. L’ordinazione sacerdotale è avvenuta nel 1954, un po’ antecedente il Concilio, ma i primi anni del mio sacerdozio li ho vissuti in “luna di miele”, sognando ad occhi aperti e pensando che sorti del Regno di Dio si sarebbero realizzate nel futuro dei miei “aspiranti” dell’Azione cattolica e del reparto scout della mia parrocchia. Poi, pian piano, ho preso coscienza delle problematiche pastorali.
Il tempo del dopo Concilio l’ho vissuto con la stessa sensibilità con la quale ho vissuto la ricostruzione post-bellica. Prima da italiano e quindi da cristiano, ho sognato che il “mondo nuovo” fosse a portata di mano. Per quanto ha riguardato la religione credevo che il Regno di Dio stesse ormai per calarsi sul nostro tempo e sulla nostra gente, tanto che un giorno chiesi al Patriarca d’allora: «Quando avverrà questa “epoca dell’oro?”». Egli saggiamente mi rispose con una frase del Vangelo: «”Il Regno di Dio è dentro di voi!”, esso si affermerà nella misura in cui noi lo faremo vivere nella nostra vita».
Il tempo è passato e la spinta del sognato rinnovamento pian piano ha perso colore e vigore, è sembrato che le cose andassero sempre per lo stesso verso dopo le prime innovazioni: i preti si sono vestiti in borghese, han detto messa rivolti verso il pubblico, han celebrato in italiano. S’è continuato a parlare di riforme, ma non parve che, oltre i discorsi, la fede crescesse e scaldasse il cuore delle folle. Alcuni anni fa è sorta, quasi per incanto, la “moda” della rievangelizzazione, ma mi pare che non stia avendo risultati granché più significativi.
Qualche giorno fa mi è capitato di leggere questa riflessione che ben definisce l’arco delle mie esperienze in campo della pastorale nei riguardi di quelle che sono immaginate come soluzioni quasi “magiche”, o più correttamente possono essere definite le utopie del cristiano.
“Quando ero giovane e libero e la mia fantasia non aveva limiti, sognavo di cambiare il mondo.
Diventando più vecchio e più saggio, scoprii che il mondo non sarebbe cambiato, per cui limitai un po’ lo sguardo e decisi di cambiare soltanto il mio Paese. Ma anche questo sembrava irremovibile.
Arrivando al crepuscolo della mia vita, in un ultimo disperato tentativo, mi proposi di cambiare soltanto la mia famiglia, le persone più vicine a me ma, ahimé, non vollero saperne.
E ora, mentre giaccio sul letto di morte, all’improvviso ho capito: se solo avessi cambiato prima me stesso, con l’esempio poi avrei cambiato la mia famiglia. Con la loro ispirazione e incoraggiamento, sarei stato in grado di migliorare il mio Paese e, chissà, avrei potuto cambiare il mondo.”
(sulla tomba di un vescovo anglicano nella cripta dell’Abbazia di Westminster)