Qualche anno fa uno dei miei ragazzi che fa il giornalista al “Corriere della sera” è venuto al “don Vecchi” per farmi una proposta davvero incredibile: «Don Armando, vorrei scrivere la sua vita».
Pur gradendo quanto mai questo gesto di estremo affetto, rifiutai nella maniera più decisa. Non credo che la mia vita, pur essendo stata bella, intensa e soprattutto libera, meriti un volume, ma soprattutto non credo che abbia qualcosa di particolare che possa interessare la gente.
Mi sono ricordato di questo episodio pochi giorni fa quando, avendo raccontato qualche particolare della mia fanciullezza, una signora che ha familiarità con la penna mi confidò che avrebbe desiderato fare un articolo sulla mia fanciullezza. Forse le venne questa idea perché chiacchierando del più e del meno, le avevo raccontato che quando facevo le medie, ad ottobre, per Natale e per Pasqua, raggiungevo in bicicletta il seminario. A quel tempo non andavano le corriere e perciò partivo da Eraclea, mio paese natio, con la mia biciclettina da bambino, con la valigia su un portabagagli artigianale costruitomi da mio padre, facevo tutta la via Fausta fino a Treporti misurando il cammino percorso, leggendo sulle case coloniche che si affacciano ancora ad intervalli regolari, case costruite dal duce che portavano in facciata le frasi epiche “L’aratro traccia il solco, ma è la spada che lo difende”, “Credere, obbedire, combattere”, “Vincere e vinceremo!”. Povero duce!
Ricordo che un giorno, mentre percorrevo quella strada che mi pareva non terminasse mai, per mettere nella canonica di Treporti la bicicletta, per poi prendere il vaporetto che portava a Venezia, incrociai un drappello di tedeschi a cavallo, elmetto in testa e fucile a tracolla; soltanto a ripensarci provo ancora i brividi di paura e risento ancora il passo cadenzato di quel drappello di cavalli. Finiti i mesi di scuola rifacevo il cammino a ritroso, riprendevo la bicicletta per tornare a casa, trafelato ed affaticato per quella ventina di chilometri di strada sterrata tutta buche e con tanta ghiaia.
Pensandoci ora, sono convinto che fatica, paura e sacrifici mi hanno temprato, così che oggi ogni più piccola comodità mi mette a disagio e spesso arrossisco e quasi mi vergogno di percorrere nella mia Punto bianca i due chilometri che conducono ogni giorno al mio “posto di lavoro”.
Mi pare che sia san Paolo che dica che anche l’oro si purifica col fuoco.
Le mie esperienze passate sono tali per cui oggi pretendo da me quello che, normalmente, chi non ha fatto esperienze del genere, non osa fare. Se posso dare un consiglio a genitori ed educatori, dico loro con grande convinzione: «Se volete bene ai vostri ragazzi, pretendete molto, pretendete sempre, solo così costruirete degli uomini liberi e positivi.