Nota: questo articolo risale a diverse settimane fa, ancor prima delle dimissioni di Benedetto XVI.
Spero e voglio ascoltare sempre con attenzione, rispetto e disponibilità, le parole del Sommo Pontefice, dei nostri vescovi, dei colleghi sacerdoti e di chiunque, credente o non credente, abbia a cuore il bene della società.
Detto questo, ci sono delle cose che condivido, delle altre che non condivido ed altre ancora che rifiuto e che ritengo doveroso “combattere”. Aggiungo poi che quanto più è autorevole la persona che parla, quanto più è in posizione di autorità, di responsabilità e di visione più larga dei problemi della vita, tanto più cerco di essere attento e cauto nell’esprimere il mio giudizio. Il campo dell’opinabile è infinitamente più grande di quello della verità e delle certezze assolute.
Infine – almeno a me capita così – vi sono certe affermazioni che mi esaltano di primo acchito e delle altre che istintivamente mi rendono cauto e talvolta critico, pur conscio che ciascuno ha le sue responsabilità, risponde alla sua coscienza e perciò gli si deve sempre attenzione e rispetto.
Quando è possibile il dialogo e il confronto ritengo utile e doveroso farlo, quando ciò non è possibile, ritengo che questo confronto lo si debba fare onestamente all’interno della propria coscienza.
Vengo al motivo concreto di questo discorso importante, ma teorico. Recentemente il Papa ha ordinato sei vescovi e nel discorso tenuto durante il rito ha affermato pressappoco questo: «Il vescovo deve avere il coraggio di dire talvolta parole diverse da quelle della posizione dominante». Questo discorso mi è piaciuto più di altri, perché mi pare di riscontrare che troppa gente, fuori e dentro alla Chiesa, trova comodo starsene sempre zitta e si appiattisce sempre e comunque sulle “posizioni dominanti”, mentre penso che i “profeti”, anche infimi, sono sempre, anche tendenzialmente, “voci fuori dal coro”.
Sono stato felice nell’apprendere che anche il cardinale Martini era di questo parere e denunciò apertamente questo comportamento. E sento il bisogno di ribadire che, pur non volendo far parte della fronda, del dissenso astioso, non mi dispiace talvolta esprimere un parere un po’ diverso da quello che il Papa ha definito “posizione dominante”.
Spesso soffro e non capisco quando qualcuno mi definisce “coraggioso” o “duro”, quando nel mio intento non ambisco ad altro che collaborare, offrendo una posizione o una angolatura diverse nel vedere certi problemi.