Il criterio con cui accettiamo le richieste di entrare al “don Vecchi” è pressoché unico: il bisogno economico o esistenziale.
Abbiamo creato una griglia di valutazione, però essa si rifà fondamentalmente al criterio suddetto. In questa griglia sono assolutamente assenti altre indicazioni, quali militanza politica, pratica religiosa, irregolarità nei rapporti famigliari, storia del passato o i motivi per cui il richiedente è costretto a chiedere aiuto al nostro ente, il quale però non nasconde mai la sua matrice religiosa. L’accoglienza si rifà all’immagine evangelica della “rete buttata in mare e che raccoglie ogni sorta di pesci”. Da noi non c’è cernita alcuna.
Da questa scelta lucida e meditata abbiamo raccolto e stiamo raccogliendo ogni specie di uomo. Per fare qualche confidenza, meno di metà dei residenti viene regolarmente a messa, pur avendo “la chiesa in casa”. Alcuni – pochi ma ci sono – hanno rifiutato il sacerdote che chiedeva di dare la benedizione, alcuni vivono al Centro come fosse un albergo, vanno e vengono, talora degnandosi solamente di un accenno di saluto. Altri si occupano solo dei nipoti, ossia dei figli di quei loro figli che li hanno messi alla porta. Altri ancora non nascondono una certa avversione per il clero e per i suoi “derivati”. Altri sono prontissimi ad approfittare di ogni occasione vantaggiosa, mentre non sono disposti a muovere neppure un dito per la comunità che li ospita. E potrei continuare.
Questo è il volto negativo della medaglia, però c’è anche quello bello, anzi semplicemente meraviglioso. Credo che credere alla carità esiga pagare questo prezzo. Ci siamo proposti di rispettare le opinioni e i comportamenti di coloro che sono i più lontani dalle nostre convinzioni, perché crediamo anzitutto al valore della nostra testimonianza.
Fortunatamente ogni tanto arriva qualche riscontro che aiuta la nostra “fede”. Qualche settimana fa mi è giunto un foglio di una sessantottina radicale che militava in “Lotta continua” e che si dice di estrema sinistra: “Son venuta al don Vecchi perché costretta dal bisogno. Qui però ho incontrato un ambiente `laico’ che mi fa sentire a mio agio. Questa è la `mia casa’ e sono felice di spendermi tutta perché tutti possano vivere con serenità e fraternamente. Ringrazio Lei, don Armando, e il buon Dio perché mi fa sentire ancora viva”.
Al “don Vecchi” si paga poco, l’ambiente è signorile e ricco di cose belle, ma l’aspetto descritto da questa residente è forse una delle componenti più preziose ed esclusive di questa struttura pilota per anziani in difficoltà. Di ciò, confesso, provo orgoglio.