Più monologhi che dialogo

Un mio caro e nuovo amico che si è offerto di darmi una mano come “ministrante” durante i riti che celebro nella mia “cattedrale fra i cipressi”, si intrattiene spesso con me in discorsi che riguardano i problemi religiosi e la vita della Chiesa sul nostro territorio. Questo signore è sensibile a questi problemi, avendo appena concluso il percorso di ricerca religiosa EVO, promosso sulla falsariga degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio proposti dai padri gesuiti. Inoltre, essendo un suo figlio, giovane avvocato, entrato da poco in seminario, durante l’attesa delle celebrazioni liturgiche, parla volentieri con me anche di ciò che avviene nel nostro piccolo mondo della diocesi.

Man mano che egli si addentra in questa realtà, per lui nuova in quanto nel passato – pur essendo un cattolico osservante – visse una vita intensa da imprenditore, gli piace riferirmi le sue nuove esperienze ecclesiali. Io gradisco quanto mai questo rapporto perché mi dà modo di confrontarmi su discorsi e problemi di carattere religioso sui quali, purtroppo, data la vita che faccio, a me capita quasi sempre di relazionarmi solamente a senso unico. Lo faccio, di solito, attraverso la lettura dei periodici di ispirazione religiosa, ma quasi mai mi capita di parlare con i colleghi e con i cristiani comuni che pare siano molto indifferenti a questi problemi. Dall’altro lato le informazioni minute e specifiche di quest’uomo sulle iniziative diocesane mi aiutano ad essere più idealmente partecipe alla vita della mia Chiesa locale.

Spesso mi sono domandato come mai nella nostra Chiesa il confronto e il dialogo di carattere religioso e spirituale sia così scarso, poco vivace ed appassionato tra i cristiani del nostro tempo. Ho la sensazione che da un lato la gerarchia ecclesiastica si sia quasi arrogata l’esclusiva di trattare questi problemi e, dall’altra parte, i cristiani comuni abbiano passivamente delegato il loro compito di partecipazione e di contributo.

Credo che sia giusto e doveroso premere perché la Chiesa di oggi diventi sempre più la “nostra Chiesa”, non solo nella dimensione di appartenenza, come avviene ora, ma anche nel senso che la Chiesa deve avvalersi dell’apporto di tutti e sia quasi la risultante di questo apporto, perché è assurda una Chiesa in cui ci sia il predominio assoluto di pensiero e di scelta da parte di qualcuno o di qualche ceto ecclesiale.

Parlare di “Chiesa di popolo” comporta il coinvolgimento attivo e lo stimolo perché ogni cristiano, anche il più umile, diventi partecipe, anzi protagonista, del pensiero e delle scelte del Popolo di Dio.

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