Tante volte nella mia lunga vita ho preso la penna per dare un significato comprensibile, anche per gli uomini di oggi, alle monache di clausura.
Non sto qui certamente a criticare la scelta della segregazione, delle sbarre, della ruota e di quant’altro è rimasto di quell’armamentario di regole e di strutture che spesso ancor oggi inquadrano le religiose claustrali. Anche in questo settore c’è molto da sfrondare e da rimuovere. Ritengo però che per un vecchio prete sia doveroso dire alla comunità che i conventi di clausura non sono come i soldi scaduti o le foglie secche, e che le ragazze che han scelto di chiudersi dentro non hanno sprecato la loro vita.
Più volte ho ripetuto che le suore di clausura, che taluno vorrebbe che almeno si occupassero dei vecchi e degli orfani invece che disinteressarsi della terra, nell’escosistema spirituale son lì puntigliose e decise ad affermare che la medaglia della vita ha anche una faccia nascosta o in penombra che pochi conoscono.
Le suore rimangono tuttora testimoni dell’Assoluto, del silenzio, della meditazione e della preghiera. Se si togliesse completamente questa componente della vita, essa diventerebbe presto insapore, acida e stomachevole. Le suore di clausura sono a ricordarci la verità di Gesù: “L’uomo non vive di solo pane, ma ha anche bisogno di qualcosa di assoluto che ha dimenticato o perduto”.
La nostra società, della quale ogni giorno scopriamo una magagna ed una miseria in più, è tale perché ha smarrito quei valori dei quali queste suore sono assai ricche. Esse testimoniano in maniera forte con il loro silenzio e la loro preghiera Colui che è la sorgente dell’amore e della vita.