Un mio amico, che conosce le mie idee circa il ministero sacerdotale e il rapporto del prete con la sua gente, poco tempo fa mi ha portato un trafiletto. Lo pubblico per intero, avendo però cancellato il nome del sacerdote, della parrocchia e del luogo dove sarebbe avvenuto il fatto.
Credo che la notizia provenga da certa stampa che è avvezza a raccogliere spazzatura anticlericale e antireligiosa e perciò bisogna inquadrarla in questo contesto.
Dalle nostre parti sono convinto che le cose non stanno così, però credo che anche nel nostro ambiente avvenga qualche eccezione alla norma di un comportamento più saggio. Soprattutto ho la scusante che qualche religioso (prete o frate, poco importa) applichi invece in maniera pedissequa, senza un po’ di tatto e di sensibilità, certe norme della curia che hanno pur una qualche giustificazione, ma appaiono di cattivo gusto e quanto mai venali, qualora non vengano accompagnate da qualche parola che inquadri la questione e soprattutto non tenga conto della sensibilità dei singoli fedeli e non sia sempre disposto alla duttilità e alla disponibilità a fare tutte le possibili eccezioni. Eccovi il trafiletto.
Il prete a tariffario
(lettera firmata)
Nei giorni in cui si svolgevano i solenni funerali del cardinale Carlo Maria Martini, ricordato da tutti, laici e credenti, per la sua visione “moderna” della Chiesa, si celebrava il trigesimo della morte di mia madre, officiato da don Peppino. Ad agosto non è stato possibile perché era in ferie e, si sa, le messe per i morti possono aspettare. Ed eccolo sull’altare abbronzato, scocciato, annoiato per quel rito che deve ripetere ai parenti della defunta, una ventina di minuti tirati al massimo, non di più. I parenti si avvicinano per le condoglianze, e nella calca chiedo a mia sorella cosa le ha chiesto don Peppino per il disturbo. Indovinate? Cento euro. Non ha detto “fate un’offerta” qualcosa a piacere, ma più prosaicamente cento euro. Come se ci fosse un prezziario per le funzioni.
Attualmente i sacerdoti percepiscono uno stipendio che permette loro, senza fare i salti mortali, di vivere decorosamente nella sobrietà. Per noi, preti in pensione, le cose non vanno diversamente. A me pare quindi che ci siano delle soluzioni che permettano alla religione e al sacerdote di star ben al di sopra di qualsiasi rapporto economico e qualsiasi remunerazione specifica per la preghiera.
Pur essendo convinto che è comprensibile che il fedele, in determinate occasioni, accompagni la richiesta di una intercessione con Dio, con una offerta per i poveri e per i bisogni essenziali della comunità.
Quando la gente, per una brutta abitudine imparata dalla vita sociale, ma anche dai preti, domanda: «Quant’è, che cosa le debbo?» mi pare che il rispondere: «Niente, ma comunque, se crede di fare un’offerta la destiniamo ai poveri» (e poi farlo, si capisce!), non dico sia più elegante, perché qui non si deve trattare di furbizia o di eleganza, ma di stabilire un rapporto umano e spirituale di più alto livello.
Questo comportamento credo che sia a tutto vantaggio della fede e della stima verso il sacerdote.