Il diacono del deserto

Un concittadino che oramai da trent’anni lavorava in un deserto del Medio Oriente, è ritornato in aereo qualche giorno fa, per trovare adeguato commiato e sepoltura in terra cristiana. L’ha accompagnato nella mia umile chiesa, perché gli si concedesse “il biglietto d’entrata in Paradiso”, un suo collega di lavoro a cui, pur lavorando come tutti gli altri, era stata affidata la cura spirituale della piccola comunità di cristiani in quel lontano mondo contrassegnato dalla mezza luna di Maometto.

In attesa dell’orario per la messa, mi parlò della sua pastorale. Ogni sera recita del rosario, ogni mese ritiro spirituale e, quando un prete indiano aveva la possibilità di passare di là, Santa Messa per tutti. Rimasi edificato da questo cristiano così convinto e così entusiasta della sua missione.

Al funerale non c’era molta gente: il figlio ed alcuni funzionari della Montedison. Il diacono lesse le letture e animò la messa con alcuni canti, intonati “alla Pavarotti”. Eravamo in pochi, però questo servo del Signore non solo riempì la chiesa come ci fosse il coro della Fenice, ma di certo raggiunse con la sua voce e la sua fede il trono di Dio.

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