Io cominciai il mio ministero sacerdotale presso la parrocchia veneziana di Santa Maria del Rosario, che tutti chiamano “Gesuati”. Infatti la chiesa è stata costruita dall’ordine religioso dei Gesuati, ordine che la Serenissima ottenne dal Vaticano di sopprimere per incamerare i suoi beni in cambio della fornitura di galee per la battaglia navale di Lepanto.
Ricordo di quelle mie prime esperienze pastorali un episodio che a quel tempo giudicai più banale di quanto oggi lo ritenga. Una signora, penso cinquantenne, mi confidò che quando si guardava allo specchio e scopriva le rughe incipienti, si lasciava andare ad un pianto accorato.
Allora una simile reazione mi sembrava futile ed espressione di quella innata e persistente mania tipicamente femminile di essere belle comunque e di continuare ad esserlo nonostante il passare del tempo.
Oggi sono molto più comprensivo, perché talvolta mi capita di provare sentimenti analoghi, che di certo non mi portano alle lacrime, ma non nascondo che mi provocano una certa nostalgia e una certa inconfessata amarezza per i segni che il tempo ha lasciato in tutti gli aspetti della mia umanità.
Ogni anno mi capita di incollare sulla tessera di pubblicista il bollino annuale, tessera che mantiene la mia foto di trent’anni fa: figura asciutta, capelli castani, volto giovanile.
Istintivamente li confronto con la mia attuale zazzera bianca, la pancia abbondante e il volto carico di rughe. Il confronto, confesso, è amaro e deludente.
Qualche giorno fa mi è capitato di riascoltare qualche omelia che ai tempi di “Radiocarpini”, trent’anni fa, venivano registrate: una voce limpida, un parlare fluido, delle argomentazioni lucide. Tutt’altra cosa oggi! Dire “tutto passa!” è una cosa, constatare i segni del passaggio è tutt’altra cosa, non solo per la mia vecchia parrocchiana, ma anche per il nuovo vecchio parroco in pensione!