Recentemente ho sentito il dovere di dire la mia sul suicidio del grande regista Monicelli, vecchio e affetto da un male incurabile. Mi sono sforzato di ripetere che il mio discorso si rifaceva ad una visione ideale della vita e della morte. Per il dramma del singolo non provo che comprensione e calda pietà, per cui confesso che più volte ho pregato il buon Dio che accogliesse nel suo Cielo questo suo “Figliol prodigo”.
In quell’occasione ho pure scritto che nella mia lunga vita di prete mi sono trovato più volte coinvolto in questi gesti estremi e sempre ho provato un sentimento di sgomento, di profonda tristezza, quasi una desolazione di fronte a chi rinuncia a continuare a cogliere il dono della vita, a chi non comprende che nel magnifico ecosistema della società ognuno ha un compito ed ognuno deve fare la sua parte.
Sono pure convinto che queste scelte estreme non sono mai lucide e razionali, ma sempre determinate da uno stato d’animo in cui s’è rotto all’interno dell’animo un equilibrio per cui sfugge dalla volontà il dominio di sé.
Ricordo il colloquio con una ragazza credente che aveva tentato di suicidarsi con l’acido muriatico, ma che si riuscì a salvare. Le chiesi: «perché l’hai fatto?» e lei non seppe giustificarsi se non affermando: «In quel momento non ho visto di fronte a me che quella soluzione!».
Queste esperienze mi han sempre aiutato ad inquadrare positivamente il commiato religioso anche per questi fratelli, partendo dalla paternità del Padre e dall’altra parte dalla loro ricerca errata della pace interiore, che agli occhi del Signore equivale ad una preghiera angosciosa ed accorata.
Qualche giorno fa s’è celebrato nel piazzale del cimitero, sotto un sole cocente e in mezzo al traffico degli automezzi, il “funerale dell’architetto Peghin”. Nulla di più squallido e desolante; per chi vi ha partecipato; la vita è apparsa come un assurdo, un inganno ed una beffa della natura.
Nella stessa mattinata “ho salutato” un concittadino che, fiducioso, era stato sempre consapevole di camminare verso la casa del Padre per ricevere il suo abbraccio e per sentirsi dire: «Entra e facciamo festa, perché eri lontano e sei tornato». In quell’occasione ebbi l’opportunità di dire a Dio: «Accoglilo pure lui, Signore, Tu gli hai offerto la dimora eterna col battesimo e l’hai chiamato “figlio”, egli Ti “ha pregato” costruendo case per altri tuoi figli; Ti ha cercato sul sentiero dell’armonia e della bellezza, perseguite con la sua professione.»
Ora sono certo che il Signore gli ha aperto la porta senza esitazioni e che ora è con la sua amata sposa. Mi spiace solamente per chi, in quell’occasione, non s’è sentito ripetere queste splendide verità che danno senso alla vita e alla morte.