Guareschi e la gente dell’Emilia

Mi è capitato recentemente di leggere su “Avvenire” un’intervista al figlio di Giovanni Guareschi. Io so poco della famiglia di questo grande narratore del nostro tempo, che nei suoi racconti ha dato volto all’Italia dell’immediato dopoguerra con uno stile e delle immagini quanto mai vive e convincenti. Non conosco neppure troppo le vicende personali dello scrittore romagnolo; so che trascorse parte della sua giovinezza in un Lager della Germania e che, ritornato in patria, diede vita ad un periodico, trascorse perfino del tempo in prigione per un presunto falso documento riguardante la condotta di De Gasperi.

Conosco invece bene la produzione letteraria di questo scrittore piacevolissimo, sornione e capace di dar volto alla mentalità, alle debolezze e alla ricchezza umana della nostra gente.

I racconti di Guareschi sono quanto mai conosciuti ed apprezzati da chi ha vissuto quel particolare periodo storico, anche perché ebbero la fortuna di essere portati sullo schermo da quei due impareggiabili attori, Gino Cervi e Fernandel, Peppone e don Camillo. Sono convinto che Guareschi non tramonterà con il passare della stagione di chi è vissuto in quell’epoca, ma che avrà qualcosa da dire anche per il futuro.

Ho letto la bibliografia su questo uomo di lettere, scoprendo che è quanto mai vasta. Io poi credo che anche da un punto di vista morale e religioso egli sia stato capace di passare mediante la sua prosa, valori autentici. A questo proposito m’è capitato di leggere persino un volume in cui un autore, di cui non ricordo il nome, ha scritto, estrapolando pensieri e battute tratte dalle sue opere: “Il catechismo di Guareschi è un catechismo particolare, però non privo di saggezza, di religiosità e soprattutto di capacità di passare valori attraverso il suo linguaggio carico di colore e di umanità”.

Tornando all’intervista ad Alberto Guareschi, “l’Albertino”, figlio dell’omonimo scrittore, persona non priva di talento, ha inquadrato il dramma dell’Emilia e della Romagna, colpite dal terremoto, ricordando la grande alluvione che sommerse il paese di Brescello, patria di don Camillo e di Peppone, narrata da suo padre.

Da questa intervista emerge la grande carica di umanità di questa popolazione, la sua volontà di risorgere comunque, la sua fede atavica, nonostante le rivoluzioni di pensiero, l’abitudine mentale alla concretezza e al lavoro. Verità che ho potuto riscontrare nelle dichiarazioni dei terremotati che i giornali-radio frequentemente ci hanno riferito in questi giorni amari.

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