Questa mattina (rispetto a quando è stata scritta la pagina di diario, NdR), avendo favorito l’inserimento di due coniugi al Centro don Vecchi, ho provato, per una serie di motivi, una sensazione veramente appagante di benessere umano.
Da molti anni ho sempre invidiato i sacerdoti, come don Bensi, che hanno creato delle strutture aperte ad ogni naufrago della vita, preti con la porta di casa, e soprattutto la porta del cuore, sempre aperta, capaci di accogliere qualsiasi creatura che avesse bussato alla loro porta per chiedere aiuto.
Quando, una quarantina di anni fa, sono andato in Francia – che a quel tempo era la “mosca cocchiera” nel campo della pastorale, ero rimasto colpito da una scritta affissa alla porta di una canonica di uno dei poveri sobborghi di Parigi, su cui era scritto “Spingete ed entrate”, quasi a significare che non servivano appuntamenti di sorta perché il parroco era sempre disponibile per tutti.
Al “don Vecchi” purtroppo non è così, e ciò anche per colpa mia. Si, siamo aperti ai più poveri, ma devono essere anziani, autosufficienti, avere una pensione, anche se minima; devono avere un garante, versare una cauzione; devono avere il certificato medico attestante la buona salute, devono essere persone con un certo decoro! Il tutto perché volevamo creare un ambiente signorile.
Questa mattina è avvenuto qualcosa di diverso, che mi ha fatto provare una dolcezza che da molto non provavo. Una carissima e splendida signora della parrocchia dei Frari di Venezia, dapprima ci informò e poi ci ha accompagnato due coniugi sulla settantina che, per motivi che non sto a raccontare ma che appartengono alla vita, da molti mesi dormono sotto il cavalcavia di Mestre – due coperte sotto ed una sopra -, mangiano a Ca’ Letizia alla sera e a mezzogiorno alla mensa di Altobello. Lui, cassaintegrato, lei casalinga.
La signora che li ha “scoperti” e che ce li ha accompagnati, l’ha fatto con tanto garbo e con uno spirito di squisita e dolce carità, per cui era proprio impossibile tenerli fuori a causa delle nostre regole.
Il “miracolo” è avvenuto per un singolare concorso di contributi: la Chiesa dei Testimoni del Settimo Giorno arrederà l’appartamento, la parrocchia dei Frari contribuirà ad aggiungere qualcosa ai 250 euro che rimarrebbero a questi due coniugi per vivere, e noi ci metteremo il coraggio di farci carico di una situazione quanto mai precaria, che di certo nasconde più di una difficoltà.
Oggi si parla tanto di “far rete”, di aprirsi alla sinergia; purtroppo questi termini pare siano assolutamente ignoti al campanilismo e alla vita stantia delle nostre parrocchie.
“Il dado è tratto!”. Ora spero nella buona sorte.