Bonifiche

Qualche mattina fa qualcuno del “don Vecchi” è venuto a cercarmi, preoccupato, perché un gruppo di dipendenti comunali stava tramestando davanti al cancello, a dire di questi, per mettere in sicurezza l’accesso ai magazzini. Le notizie del genere mi mettono immediatamente in allarme perché l’ostilità emersa tante volte da parte del quartiere in cui abitiamo ormai da vent’anni, è capace di tutto!

Il “don Vecchi” è, per il quartiere don Sturzo, o meglio per alcuni del quartiere, un “figlio non voluto” e sopportato a malincuore. Una volta per il traffico dei poveri che vanno ai magazzini, un’altra perché si pensa che i topi presenti nel quartiere vengano dal nostro Centro, un’altra ancora perché non si gradisce la collocazione dei cassonetti fatta dalla Veritas, un’altra perché si è temuto di essere frodati del verde con la cementificazione del parco, oppure per la “poveraglia” che è costretta a prendersi i generi alimentari presso i magazzini, o perché le foglie degli alberi del Centro vanno ad intasare i tombini, o perché ancora pochi dei residenti frequentano la parrocchia. Pare insomma che ogni giorno essi scoprano una nuova magagna di questo Centro.

Sentendo la notizia del gruppo di tecnici del Comune, mi sono precipitato per difendermi dalla nuova calamità. Fortunatamente si trattava di un’altra cosa. Un ingegnere comunale, più cortese di quello dei topi, mi ha informato che sul fianco sinistro del sentiero che porta dal viale don Sturzo al Centro, un tempo c’era una cava che è stata colmata con i rifiuti industriali di Marghera; perciò doveva essere bonificata.

Si dovrà asportare un centinaio di metri cubi di terra inquinata per sostituirli con altrettanti metri cubi di terra sana. La schiera assai numerosa di tecnici, composta da esperti di ogni genere, stava studiando come intervenire senza impedire il transito.

Io sono un pover’uomo che s’intende solamente un po’ di candele e di acquasanta, ma sono rimasto un tantino incredulo che sotto il manto verde di siepi rigogliose e di alberi robusti si siano nascosti acidi così micidiali da mettere a repentaglio la salute della gente. Di certo i trecento abitanti del “don Vecchi” – che sono gli unici a transitare per questi luoghi e che, quasi tutti, hanno dagli ottant’anni in su – come l’erba del prato e gli alberi della stradina, pare che fortunatamente non siano stati inquinati e minacciati di morte da quei veleni che giacciono da mezzo secolo sotto il manto verde.

Ho pensato subito invece al “massacro” che subirà il paesaggio. Però ho approfittato per segnalare il salice alto venti metri, morto in piedi, perché quello sì è una minaccia vera per chi passa da quelle parti, ma che pare che finora non abbia turbato la coscienza del Comune.

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