Una storia di vita che dimostra come nulla va perduto!

I miei amici sanno bene che io ho una sorella ormai “famosa” per la sua attività a favore della piccola comunità di Wamba, un villaggio del Kenya immerso nella savana africana, villaggio dove c’è un ospedale nel quale ogni anno il prof. Rama andava ad operare.

Come è nata questa scelta di vita di mia sorella, chi mi legge frequentemente la conosce. Lucia ha trascorso i suoi quarant’anni di vita lavorativa nel reparto oculistico dell’ospedale Umberto I° di Mestre, terminando la sua carriera con la qualifica di caposala del reparto.

La storia dell’oculistica mestrina è ormai quasi una leggenda epica. Il prof. Giovanni Rama è stato di certo un antesignano nel trapianto delle cornee e assieme al dottor Renzo Zambon, prima, e a Cesarino Gardellin dell’AIDO, poi, hanno creato un movimento di opinione tale da far promulgare in Parlamento la legge sui trapianti delle cornee e a creare un reparto all’avanguardia per questo tipo di interventi. Nei tempi “eroici” di questa impresa il reparto contava più di una cinquantina di posti letto e i trapianti non si contavano.

Rama, Zambon e Gardellin promossero un movimento di opinione ed un’organizzazione dai quali è nata la Banca degli occhi, una struttura d’eccellenza nel settore.

Rama è purtroppo morto, e sembrava che nessuno ne raccogliesse l’eredità, sennonché Lucia, attingendo coraggio e passione, qualità proprie della mia famiglia, è riuscita a mantenere vivo questo servizio, creando perfino una associazione che raccoglie fondi a Mestre e sviluppa in terra d’Africa una serie mirata di progetti che finanzia e che poi controlla direttamente con viaggi frequenti.

Questa piccola associazione di coraggiosi riesce a mantenere una scuola per infermiere, ad assistere una trentina di asili (una specie di scuole materne estremamente embrionali) e a pagare la retta ospedaliera per i bambini ricoverati nel reparto oculistica.

Qualche giorno fa Lucia è ritornata da un ennesimo viaggio ispettivo ed ha raccontato ai nostri anziani del “don Vecchi” le sue “avventure missionarie”, destando la simpatia e l’interesse della nostra gente impegnata a garantire il latte per la folla dei “suoi” marmocchietti neri come l’ebano.

Mentre, terminata la messa, ascoltavo Lucia, che faceva il resoconto ai miei anziani sull’ultimo viaggio, avvertivo che questa ragazza sessantenne, come tutti noi fratelli, non manca di certo di coraggio, grinta ed intraprendenza, e il mio pensiero andava ai miei genitori che hanno donato a noi sette fratelli, oltre la vita, la voglia di lottare, di non arrenderci, di osare sempre, e concludevo come il loro esempio continua attraverso noi, loro figli, a dare un contributo di solidarietà a questo nostro mondo. Nulla va perduto!

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