Qualche domenica fa ho prima letto il Vangelo, come sempre, poi l’ho commentato alla mia amata comunità quanto mai idealmente affiatata che mi pare condivida l’angolatura con cui lo interpreto. Si trattava di un brano assai noto in cui si ricorda la parabola della vite, di chi ne ha cura e dei frutti che i tralci possono offrire quando rimangono organicamente uniti al tronco ed accettano gli interventi del vignaiolo. Gesù adopera molto opportunamente questa immagine sapendo che i suoi diretti ascoltatori appartenevano ad un mondo e ad una cultura pastorale e agricola: Gesù è la vite, lo spirito di Dio l’agricoltore che ne ha cura e gli uomini i tralci che se rimangono organicamente uniti alla vite ed accettano gli interventi del vignaiolo produrranno di certo il vino che “allieta il cuore dell’uomo”, come dice la Bibbia.
La preparazione al sermone è stata per me particolarmente laboriosa e tormentata perché se non riesco a trovare una lettura che mi convinca a livello personale, mi è impossibile proporla alla comunità; mi sono assolutamente inutili tutti i commenti offerti dagli esperti.
La mia predica si basò su due punti ben definiti. Il cristiano trova beneficio vero dall’Evangelo e quindi dal messaggio di Gesù solamente se mantiene un rapporto organico, vitale, esistenziale. E mi rifeci all’espressione di san Paolo che fissa in maniera ineguagliabile questo rapporto affermando: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”.
La seconda riflessione si rifece sul punto finale del processo “viticolo”, per usare un termine corrente, ossia sul prodotto, il vino, e il vino buono, quello che a Cana Gesù offre col miracolo della trasformazione dell’acqua insipida in vino buono. Ossia: l’accettazione e l’assimilazione del messaggio evangelico non può non portare che al vino buono “che allieta il cuore dell’uomo”.
A supporto di questo messaggio “un po’ insolito” citai Gesù quando afferma: «Sono venuto perché abbiate la gioia e la vostra gioia sia piena».
Ma il punto di forza che ho avuto la sensazione che quasi suonasse a felice scoperta per la mia cara gente, è stato l’affermare con forza che Gesù è venuto perché noi possiamo cogliere il meglio della vita, della vita in tutti i suoi aspetti. Ho ribadito d’avere la sensazione che il cristiano, forse per una lettura masochista, ingiustamente continui ad avere delle riserve, quasi paura che non sia religioso accettare la bellezza e quanto c’è di affascinante nella vita. Si è accorto di questa lacuna anche Gide quando afferma con sarcasmo: «Come potete pretendere di essere testimoni del Risorto, voi che camminate sul ciglio della strada a testa bassa, tristi e pieni di malinconia?».
Spero che dopo la mia predica i cristiani della mia cara comunità non possano essere definiti così dall’irrequieto scrittore d’oltralpe.