Quando il vecchio regista Monicelli, gravemente ammalato, si suicidò buttandosi giù dalla stanza dell’ospedale, provai pietà per questo uomo che era arrivato al successo, ma che falliva miseramente nella fase finale della sua esistenza. La sua morte voluta mi è parsa una dichiarazione di fallimento esistenziale, una bancarotta nella gestione della vita.
Ben s’intende che a Monicelli, come ad ogni altra creatura, si devono dare tutte le attenuanti del genere, perché quando si tratta di scelte che procedono dalla nostra psiche, entriamo in un meccanismo terribilmente complesso e, in gran parte, sconosciuto. Se un giudizio si può dare, è un giudizio teorico, perché appunto, dice la Bibbia che “solo Dio conosce i reni e il cuore”, per dire che conosce i meccanismi profondi e le vere responsabilità personali.
Rimasi male, mi dispiacque e dissentii profondamente da quella stampa che lo giudicò un atto di coraggio; in realtà, sempre a livello teorico, per me quel suicidio, come ogni altro gesto disperato del genere è soprattutto vigliaccheria, mancando di coraggio nell’affrontare la vita con le sue alterne vicende. Giobbe direbbe: «Se ho accettato da Dio i giorni felici della mia vita, perché non dovrei accettare dalle stesse mani anche i giorni dell’amarezza?»
Sono ritornato su questi pensieri in queste ultime settimane leggendo sui giornali l’intensa frequenza di piccoli imprenditori che, trovandosi in difficoltà, si sono tolti la vita lasciando i loro cari in situazioni ancora peggiori, dovendo essi affrontare le stesse difficoltà dalle quali loro hanno pensato di fuggire, aggiungendo poi, con la loro scelta, tutta l’amarezza e lo sconforto per il modo con il quale essi hanno concluso tragicamente la vita.
La stampa, fortunatamente, non ha riferito queste tragedie come un atto di coraggio, però quasi sta imputando al Governo questi fallimenti esistenziali, cosa che è certamente ingiusta, almeno per quel che riguarda questo Governo. Provare pietà per questi drammi è non solo giusto, ma assolutamente doveroso, mi spiace e mi preoccupa però di non aver sentito alcuna voce alzarsi, non dico per condannare, ma affermare che bisogna lottare, che ogni difficoltà è risolvibile, che è sempre presente quell’elemento imponderabile che noi credenti chiamiamo Provvidenza, ma che comunque c’è, anche se uno non crede, è la storia che lo dimostra.
Chi ha responsabilità nei riguardi della pubblica opinione, credo che con umiltà, pacatezza e rispetto, ma anche con coraggio, debba affermare questa verità, se non vogliamo che ci sia una deriva umana senza alcun punto fermo di appiglio.