Dopo anni di pressioni presso la civica amministrazione, nonostante le grandi difficoltà finanziarie in cui si dibatte il nostro Comune, grazie all’intervento della dottoressa Francesca Corsi, del suo immediato superiore, dottor Gislon, e dell’assessore Sandro Simionato, siamo riusciti ad ottenere un finanziamento mediante il quale abbiamo potuto assumere sette signore per accudire gli anziani del Centro don Vecchi.
Queste signore, delle quali ben cinque sono extracomunitarie – tre moldave, una ucraina ed una polacca – sono destinate all’assistenza dei residenti in perdita di autonomia e con pochissime risorse economiche, per cui non possono permettersi neppure alcune ore settimanali di aiuto di una badante.
Abbiamo curato con tanta attenzione la scelta, tanto che ora abbiamo la fortuna di poter fruire di donne veramente brave e generose che accudiscono i nostri vecchi come fossero loro famigliari,
Qualche giorno fa ho incontrato di prima mattina Lucia, una di queste signore, che era ritornata la sera precedente da una visita di un paio di settimane ai suoi famigliari che vivono in Moldavia. La signora Lucia per più di undici mesi consecutivi all’anno vive al “don Vecchi”, pur avendo nel suo lontano Paese il marito e due figli. Nel suo volto c’era la gioia di riincontrarci, perché col tempo siamo diventati la sua nuova famiglia, ma nel contempo c’erano pure i segni della nostalgia dei propri cari lontani che devono affrontare la vita senza quello che un tempo si usava definire “l’angelo della casa”, ma che comunque, al di là di ogni romanticismo, rimane il cuore, il sorriso, il punto di riferimento e il rifugio umano di ogni membro della famiglia.
Le chiesi se finalmente era cresciuto il benessere nel suo Paese ed ella mi rispose: «Assolutamente no, i prezzi sono forse superiori ai nostri, mentre non c’è lavoro e chi lavora guadagna due-trecento euro al mese». Chiesi ancora come dunque fanno a vivere e lei mi rispose candida: «Con i soldi che noi mandiamo a casa; ogni famiglia moldava ha perlomeno un famigliare che lavora all’estero!».
Una volta ancora ho capito di appartenere ad un popolo che, nonostante tutto, fruisce di un benessere frutto di sacrifici degli altri. Tutti – politici, sindacati, industriali e semplici cittadini – dobbiamo comprendere che il problema della perequazione economica non si può risolvere ormai all’interno della nostra nazione, perché è un problema globale: tutti dobbiamo lavorare di più, spendere meno, perché la giustizia sociale o è per tutti o non è per niente giustizia.