Il tempo che dedichiamo a Dio

Quest’anno, in occasione della Pasqua, ho compreso, più lucidamente di sempre, che non si può ridurre il mistero della Resurrezione ad un giorno di festa particolare o ad una celebrazione eucaristica più solenne del solito, ma è necessario che il Risorto diventi una verità che canta nel cuore e che aiuta ad affrontare gli ostacoli, a portare le croci e che dà speranza e convinzione di poter giungere alla Terra promessa.

Quindi mi preoccupa assai il pensiero di una certa parte della comunità dei credenti che relega il rapporto con Dio in un certo cassetto, in determinati riti, o in momenti particolari della giornata, della settimana o della vita. Credo che una religiosità di questo tipo doni poco allo spirito, mentre penso che la fede debba offrirmi la sensazione di essere immerso nella primavera e non ridursi alla sola possibilità di cogliere un fiore, a un amore che si limita ad una parola o ad un gesto; deve offrire qualcosa, una realtà che fa cantare il cuore sia nel riposo che nella fatica, sia nella gioia che nel dolore.

Detto questo però, devo affermare che sono pur necessari dei momenti particolari in cui alimentare questa atmosfera della comunione con Dio. Sarebbe riduttivo pensare che l’amore si possa limitare ad un bacio o ad una carezza, perché è estremamente difficile che possa vivere e sussistere l’amore senza gesti e senza parole d’amore.

Quando ero bambino mi pare di ricordare che nel mio paese vigeva la consuetudine che i fidanzati potessero andare dalla fidanzata il mercoledì e il sabato e a quei tempi, non c’era il telefono o il cellulare che potesse mantenere vivo il rapporto. Non vorrei che qualcuno potesse illudersi che il momento per alimentare la fede possa ridursi alla mezz’ora di messa alla domenica o ad un paio di minuti per la preghiera la sera.

Tanto tempo fa mi capitò di leggere un libro intitolato “Un minuto per Dio”. Un sacerdote raccolse in un volume i pensieri religiosi che era stato chiamato ad offrire ai radioascoltatori durante una rubrica trasmessa di primo mattino, della durata di un minuto, che appunto portava questo titolo: “Un minuto per Dio”. Ricordo che nella prefazione questo prete faceva una considerazione alquanto amara: «Che cos’è un minuto da donare al Signore mentre Lui ce ne dona ogni giorno puntualmente e sempre ben 1440?» e poi soggiungeva, più amaramente ancora: «Spesso neghiamo al nostro Creatore e Signore anche quel misero minuto!».

San Benedetto da Norcia, uomo saggio e santo e grande pastore di anime, nella sua regola ha diviso la giornata in tre parti: otto ore per il lavoro, otto per il riposo e otto per la preghiera. Forse noi, gente del nostro tempo, siamo nevrastenici e irrequieti, bisognosi spesso dello psicologo, talvolta dello psichiatra, perché non sappiamo più gestire il nostro tempo e dosare i tempi necessari per dare le risposte adeguate ai vari bisogni della nostra vita.

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