Papa Giovanni è stato una figura tanto straordinaria che ben presto la leggenda si è impossessata della sua vita. Tra la biblioteca di volumi che sono stati scritti su questo Papa, contadino saggio e buono, m’è capitato di leggere, ormai tanti anni fa, un volumetto piacevolissimo dal titolo “I fioretti di Papa Giovanni XXIII”. I racconti erano scritti un po’ con lo stile con cui si raccontano le favole, o meglio ancora nello stile dei “Fioretti di san Francesco”: racconti, avvenimenti, fatti della vita di questo santo Papa che ebbe la felice espressione di dire alla folla dei romani che lo stavano ad ascoltare in piazza San Pietro: «Andando a casa fate una carezza ai vostri bambini e dite loro “questa è la carezza del Papa”». Già questo episodio potrebbe aprire il volume dei fioretti. Tanto che giornali e televisione, soprattutto ogni tanto, ci fanno rivedere il Papa al balcone e sentire quelle care e dolci parole.
Porto un bel ricordo di quel volume anche se i racconti erano tanto ingenui e forse profumati da un po’ di fantasia. Da tanto tempo ho confidato che mi piacciono questi racconti che mettono in luce gli aspetti belli ed innocenti della vita, tanto che quando ero parroco ho tenuto per molto tempo una rubrica dal titolo “I fioretti del 2000”, che ho poi raccolti in un volume.
In questa ottica una carissima amica, sorella di un prete che ho ammirato quanto mai per il suo zelo e la sua santità, morto una quindicina di anni fa mentre era parroco a Caorle, m’ha raccontato un episodio sul nuovo Patriarca, quanto mai edificante, episodio che mi ha dato lo spunto per un’altra rubrica se lui vorrà offrirmi materia per il proseguo del volume.
Vengo al fioretto. Il nostro nuovo Patriarca, a differenza dei precedenti, ha fatto l’ingresso in diocesi in due tempi: il primo avendo molti incontri a Mestre, visitando la casa di riposo di Zelarino, la mensa dei poveri di Ca’ Letizia, chiese, conventi ed altro ancora; la seconda a Venezia, anche qua a tappe. Tanto che m’è spuntato un pensiero malevolo nei riguardi dei colleghi che gli hanno organizzato un’entrata così massacrante, quasi volessero farlo fuori già dal primo incontro.
Ebbene, a Villa Visinoni a Zelarino, il Patriarca volle incontrare alcuni preti vecchi ed acciaccati. Tra questi v’era don Antonio Moro, mio conterraneo, che è stato docente in molte cattedre e, contemporaneamente, parroco a San Lorenzo Giustiniani. Il nuovo Vescovo, avendo saputo tutto questo e dovendo andare anche in quella parrocchia nel suo pellegrinaggio verso Venezia, non essendo previsto l’accompagnamento del parroco ormai in pensione, si inginocchiò, gli infilò le scarpe, allacciò i legacci e poi lo portò con sé nella vecchia parrocchia.
In seguito a questo “fioretto” io adesso ho con me due foto del Patriarca: una con gli stivaloni infangati alle Cinque Terre, ed una con il grembiule mentre serve a Ca’ Letizia. Queste due immagini mi potrebbero fornire materiale per altri due “fioretti”. Spero che il Patriarca prosegua su questa strada non solamente per il volume ipotizzato, ma anche perché finalmente darebbe un volto “da Ultima Cena” alla Chiesa Veneziana che tutti potremmo ammirare “in grembiule” al servizio degli ultimi.