Il mio ministero sacerdotale si svolge anzitutto al camposanto ove celebro ogni giorno la santa messa quotidiana con una breve meditazione, benedico i loculi nei quali sono conservate le ceneri, perché i parroci ormai si rifiutano di farsi carico di questa incombenza, celebro qualche funerale, sono a disposizione per le confessioni e soprattutto la domenica accolgo la mia bella, cara e numerosa comunità con cui celebro la lode al Signore.
Nel camposanto però ci sono anche quelli che un tempo si chiamavano “i becchini”, ma che ora, con termine più gentile e moderno, sono denominati operatori cimiteriali. Questa ventina di operai di certo hanno una parrocchia geografica, un parroco ed una chiesa, ma nella mia coscienza, tutto sommato, avverto che sono pure delle anime che dovrei, come sacerdote, tentare di aiutare spiritualmente. Mi sento, non so se a torto o a ragione, come un cappellano di fabbrica di questi lavoratori.
Nel passato lontano avevo tentato, quando in cimitero a Mestre ve ne erano quasi una cinquantina, anche un approccio di pre-evangelizzazione. Ricordo che tanto tempo fa li ho invitati a pranzo nel ristorante “Dall’Amelia”, e siccome sembrava loro che i camerieri tardassero a servirli, uno di loro, un po’ più burlone, disse al cameriere: «Datti da fare, perché quando verrai da noi ti serviremo velocemente!». D’altronde questa gente da mane a sera è in contatto con i morti, si capisce che la loro cultura e la loro esperienza umana gira sempre attorno a questo argomento.
Con questi giovani lavoratori, che ora sono appena una ventina e girano come trottole tra i nove cimiteri del Comune, ho un rapporto cordialissimo; essi sono rispettosi e perfino affettuosi, sempre pronti a farmi un piacere.
Talvolta faccio loro arrivare qualche fiaschetta di cabernet o di merlot, ma il mio apostolato, oltre la mia testimonianza di rigore e di serietà nel mio servizio di prete, non va molto oltre.
Quando hanno bisogno di me, per qualcosa che concerne la religione, sono sempre pronto e disponibile. Penso che ci sia stima e rispetto reciproco. Talvolta ho osservato che quando aprono la chiesa, qualcuno accende perfino un cero e quando hanno bisogno di un piacere me lo chiedono, sapendo che sono ben felice di farglielo. Anzi talvolta mi cruccio di non fare qualcosa di più; mi consolo sperando che il mio esempio doni loro quello che faccio fatica a dare con le parole.
Qualche giorno fa uno di loro mi chiese una copia delle preghiere che ho apposto accanto ai “santi protettori” della chiesa del camposanto. Erano terminate e siccome quel giorno non riuscii a procurargliene una copia me la chiese di nuovo. Questa domanda mi ha fatto tanto piacere perché ho compreso che, oltre a far bene il loro dovere, essere rispettosi per i vivi e per i morti – e questo penso sia per loro la preghiera più vera – hanno anche una sensibilità religiosa nascosta sotto un velo di rispetto umano o, meglio ancora, di pudore.