Già scrissi che non sono riuscito, per motivi indipendenti dalla mia volontà, a seguire la trasmissione che Telechiara, l’emittente televisiva cattolica del Triveneto, ha fatto in occasione dell’ingresso del nuovo Patriarca a Venezia.
L’interesse nasceva da motivazioni diverse: l’ingresso del mio muovo vescovo in un momento storico così travagliato per la vita religiosa dei nostri giorni, è per me quanto mai importante perché sarà il nuovo vescovo a tenere in mano il timone della “barca di san Marco” che oggi ormai non naviga nelle acque quiete della laguna ma che, con la globalizzazione, deve muoversi in mare aperto, spesso in tempesta e pieno di insidie.
I nostri vecchi dicevano che il clima del nuovo giorno lo si intravede fin dall’alba e perciò ero desideroso di capire lo stile e sentire le prime parole del nuovo pastore.
Confesso poi – ma questo per me era certamente meno importante – che mi sarebbe piaciuto seguire l’ingresso anche da un punto di vista estetico. Venezia è sempre capace di trasformare in poesia, sogno e favola anche gli eventi più normali, ed a maggior ragione quello straordinario dell’arrivo del suo Patriarca.
Nel breve spazio, pure intervallato, che ho potuto dedicare alla trasmissione, ho visto e sentito il benvenuto del vecchio Patriarca Marco Cè, saluto che mi ha veramente commosso per il suo calore, il suo senso di paternità umana e spirituale. Una volta ancora sono stato edificato da questo vecchio vescovo che a Venezia “ha regnato” con tanta umiltà e in punta di piedi.
La seconda parte che ho potuto seguire è stata l’omelia del nuovo Patriarca. L’ho seguita con estrema attenzione perché, pur avendo letto parecchio sul nuovo presule, dalla presentazione che ne aveva fatto la stampa locale, specie “Gente Veneta”, che ha superato se stessa in questa occasione, era la prima volta che sentivo dal vivo il nuovo Patriarca, cosa che spero di poter fare anche in seguito, invece di dover leggere riassunti riportati dai mass-media. Questi riassunti infatti, spesso non ne riportano fedelmente lo spirito, ma talvolta lo tradiscono accentuandone solamente passaggi marginali.
Come rimpiango la mia vecchia “Radiocarpini” che, pur tra tanti difetti, aveva il pregio di essere una emittente squisitamente religiosa, impegnata solamente al servizio della pastorale. Tutti i discorsi del nostro Patriarca erano trasmessi in diretta o, al massimo, in differita. Ricordo che eravamo arrivati perfino a predisporre nel suo studio una trasmittente, in maniera che potesse parlare ai fedeli della diocesi in qualsiasi momento. Della mia vecchia radio però esistono solamente le ceneri sepolte nei miei ricordi e in quelli dei miei duecento collaboratori.