So che tanti miei amici e tanti concittadini, che seguono le vicende dell’ultima stagione della mia vita, leggendo “L’incontro” non amano troppo che io parli del cimitero e della morte. Dovrebbero però pensare che essendo “questo mondo” la mia occupazione principale, non posso non esserne toccato e sollecitato. D’altronde dobbiamo pure convenire con il cardinale Roncalli che ripeteva di frequente: «Memento novissima tua et in aeternum non peribis» (ricordati delle ultime cose: morte, giudizio, inferno e paradiso e non perirai in eterno).
Allora, un po’ per il primo motivo ed un po’ per il secondo, spero che mi si conceda di ritornare su queste grandi verità. Comunque oggi vorrei trattare solamente marginalmente questo argomento.
Qualche giorno fa ho celebrato il commiato cristiano (traduco: il funerale) di una delle poche donne superstiti che non si sposano o per fare le perpetue – ma questa specie è ormai estinta – o perché sono state a servizio fin dall’infanzia da padroni ai quali si sono affezionate talmente da non riuscire a staccarsi, o perché hanno finito per accudire i nipoti o, infine, perché sono rimaste fedeli ad un amore che non ha avuto sbocchi.
Ricordo una di queste creature da un lato perché aveva un nome strano e raro, Zolema, e un po’ perché al funerale sono intervenuti una ventina di nipoti per i quali lei aveva speso la vita. Purtroppo, nonostante questa dedizione, finì i suoi giorni in una casa di riposo lontano dal luogo in cui visse!
La nipote mi tratteggiò la vita della vecchia zia, me ne parlò tanto bene e con tanta tenerezza che celebrai più volentieri il funerale e invitai con più convinzione del solito i congiunti a raccogliere “la ricca eredità” di valori e di esempi ch’ella lasciava loro.
Mentre, nella breve omelia, dicevo ai presenti di accogliere, custodire e arricchire la notevole eredità che questa creatura buona e generosa lasciava loro, mi sovvenne il pensiero di queste belle creature che, nel silenzio e in una vita modesta e di sacrifici, sono gli elementi più pregiati del nostro mondo. Diceva infatti mons. Vecchi che quando un visitatore entra in una chiesa, cerca con l’occhio i capitelli lavorati e non si accorge che quell’edificio rimane in piedi solamente perché ci sono umili pietre, coperte dall’intonaco, che lo sorreggono.
Mi è stato di grande consolazione e conforto il pensiero delle pietre sotto la malta a confronto di tanta gente vanesia ed effimera che troppo spesso tien banco sull’opinione pubblica offrendo solamente “aria fritta”!