I miei vecchi amici

I miei amici sono ormai sparsi ovunque, alcuni non li incontro da molti anni, altri mi capita di vederli nelle occasioni più disparate, una cerchia più ristretta invece mi è più vicina perché condivido con loro le vicende della mia vita. Tutti però li porto ugualmente nel cuore, per tutti chiedo ogni giorno al Signore che sia loro accanto e li protegga, anche se ho ormai dimenticato molti dei loro nomi e dei loro volti, poiché la mia memoria si confonde sempre più e il passato assume quel grigiore proprio delle nebbie autunnali della nostra laguna.

Quando ero giovane prete, a san Lorenzo, m’ero creato uno schedario col nome, l’indirizzo dei miei ragazzi ed ogni tanto lo sfogliavo, preoccupato che non avessero a perdersi, tanto che quando mi accorgevo che qualcuno si allontanava verso centri di interesse o compagnie diverse dalla comunità, intervenivo con una telefonata o una lettera.

Penso di aver sempre tenuto conto dell’ansia di Gesù che tutti fossero al sicuro nel gregge. Poi ho smesso perché la scuola e la parrocchia mi facevano incontrare un numero così consistente di “anime” che mi ci sarebbe voluta la Treccani per segnare tanti nomi e tante vite. Allora non era ancora nato il computer! Oggi però ho ancora un piccolo gruppo di amici che incontro più volte al giorno.

Raissa Maritaine ha scritto quel suo splendido volume sui suoi “grandi amici”: il marito, Leon Blois, Peghyi, Berxon ed altri ancora, quella schiera di intellettuali cristiani d’oltralpe vissuti a metà del secolo scorso, che tanto hanno influito sulla mia formazione spirituale.

Nella mia attuale grande “parrocchia”, in cui riposano decine di migliaia di concittadini in attesa della “resurrezione dei corpi”, ho la fortuna e l’opportunità di incontrare assai di frequente, accanto alla stradicciola che porta alla vecchia cappella, mons. Vecchi, prima mio insegnante di filosofia e di arte e poi mio parroco. Quanti sogni, quante discussioni appassionate fatte in tanti anni di vita vissuti intensamente assieme. Mi pare di rivederlo ritratto davanti all’isola di San Giorgio mentre guarda al futuro come Cristoforo Colombo verso il mondo nuovo, mentre sulla sua lapide ora gli angeli di bronzo di Gianni Aricò non cessano di suonare le loro trombe di bronzo verso il cielo.

Un po’ più in là don Giuseppe Fedalto, il mio compagno di banco. Con lui abbiamo trescato assieme per la traduzioni di latino o greco.

Sulla stradina che porta a nord è sepolto monsignor Visentin, il vicedirettore, vicario generale e poi aiutante di campo di monsignor Vecchi. Monsignor Visentin l’ho sempre pensato come “il cancelliere di ferro”, l’esecutore fedele dei superiori che eseguiva a testa bassa e senza discussioni la volontà dei capi.

Una decina di metri dopo c’è don Giorgio Busso, il prete ottimista e sempre sorridente che nei peggiori anni della contestazione ha cercato col lumicino, in tutta la diocesi “i chiamati del Signore” e poi fu il parroco che rubò letteralmente il cuore ai parrocchiani del mio paese natio.

Più discosto don Giancarlo Bonaldo. Quanto abbiamo duellato, a san Lorenzo, lui per far prevalere l’azione cattolica ed io gli scout!

Abbastanza vicino alla vecchia chiesa mons. Mutto, il vecchio parroco di Carpenedo. Un po’ più in là don Cristiano Colledan, il giovane prete che affrontò il cancro con coraggio e passò serenamente all’altra sponda.

Questi “vecchi amici” mi fanno tanta compagnia, mi aiutano, mi consolano e so che mi attendono presto. Son tanto grato di poter contare sul loro quotidiano incontro perché ognuno di loro ha sempre qualcosa di specifico da darmi.

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