In occasione del mio recente compleanno gli amici, che sono fin troppo cari con me, che pur coltivo poco le amicizie e che spesso sono scorbutico, tra l’altro mi hanno regalato parecchi volumi che han pensato potessero interessarmi.
Io sono veramente grato perché ogni segno di attenzione mi fa bene e perché talvolta soffro di solitudine ideale. Sono più grato ancora a chi mi regala dei libri perché per me le riflessioni altrui sono un nutrimento dello spirito e spesso, in positivo o in negativo, un pungolo per una ricerca sempre più approfondita. Purtroppo sono terribilmente in ritardo con la lettura. Gli impegni ordinari mi rubano tanto tempo, per cui me ne resta poco per leggere.
La gente, giustamente, pensa, quando sceglie un libro per un mio regalo, a qualcosa che riguarda la Chiesa, il sacerdozio, la fede, ed ha ragione perché questi argomenti sono legati al mio servizio all’interno della Chiesa. La gamma, però, di questa letteratura, è vastissima, perché va dalla teologia classica alle più avanzate testimonianze.
Tra i libri che mi sono stati regalati quest’anno, a fiuto ne ho scoperto uno che ha stuzzicato la mia attenzione e la mia curiosità. Si tratta di una specie di autobiografia sui generis, di un prete friulano, un prete certamente anticonformista, libero e radicale, ma profondamente amante di Dio, di Gesù, della Chiesa. Quest’amore appassionato lo rende intransigente, perentorio nel volere, e forse nel pretendere, una conversione profonda della Chiesa al messaggio di Gesù.
Don Pierluigi Piazza – questo il suo nome – è certamente un prete scomodo, uno di quei preti che rompono le uova nel paniere ai colleghi benpensanti, amanti del quieto vivere, ossequiosi della tradizione e, sotto sotto, desiderosi di qualche titolo ecclesiastico, osservanti dei canoni e perciò sono degli autentici rompicapo per i loro vescovi che devono tenere assieme un gregge tanto variegato e sono costretti spesso a dare un colpo alla botte ed uno al cerchio.
Spesso questo tipo di preti rompono, sbattono la porta ed appendono al chiodo la tonaca, quando la hanno, ma quando veramente hanno buon senso ed amore a Dio e ai fedeli, fanno la fine di don Milani e, come profeti scomodi, vengono mandati al confino; poi però, dopo morti, sono riesumati come la ricchezza più autentica della comunità cristiana (vedi ancora don Milani e don Mazzolari).
Non ho ancora letto tutto il volume ma mi pare che, pur inviandolo in un piccolo paese tra le montagne del Friuli, il vescovo di Udine sia stato saggio e tollerante permettendo a questa voce certamente scomoda ai più, di continuare la sua testimonianza – almeno per me – profetica.