Cosa non è il don Vecchi

Una ventina di anni fa è sbocciata la moda delle assistenti sociali. Una scuola a Venezia ha cominciato a sfornare, a getto continuo, questa sorte di professioniste che avrebbero dovuto facilitare i rapporti fra dipendenti e classe dirigenti dei vari comparti della società. Questa scuola però è nata con un peccato originale, del quale è affetta, fin dalla sua nascita, pure la facoltà di psicologia e, un po’ meno, ma anche quella di psichiatria.

Ricordo che molti anni fa la responsabile dell’istituto veneziano che prepara le assistenti sociali mi diceva che si iscrivevano a quella scuola soprattutto quelle personalità fragili che avevano problematiche personali di ordine psicologico e, inconsciamente, pensavano di risolvere i propri problemi frequentando quella scuola. Insomma erano le meno adatte per il compito che le attendeva.

Inizialmente le industrie assunsero in maniera massiccia queste figure professionali, ma ben presto le eliminarono accorgendosi che complicavano le cose piuttosto che risolverle, mentre lo Stato e il parastato, che notoriamente hanno amministrazioni ferruginose, poco efficienti e sono sempre in sovraccarico di personale, sono rimasti la riserva di caccia di queste professioniste che, per la maggior parte, sono donne.

Le assistenti sociali del Comune stilano valutazioni di ordine psicologico, istruiscono progetti, per finire poi di affibbiare a qualche realtà che ha i piedi per terra, soggetti difficili da gestire.

Qualche settimana fa le assistenti del Comune hanno proposto al “don Vecchi” di accogliere una signora poco più che cinquantenne che da dieci anni vive all’asilo notturno perché ora sentiva il bisogno di avere un alloggio tutto suo.

Ho letto il profilo psicologico, la storia pregressa e il “progetto” stilato da queste assistenti per il suo inserimento. L’abbiamo accettata perché di certo è una povera creatura, sono certo però che queste operatrici sociali, una volta “risolto il caso”, non si faranno più vedere, come non riesco a capire perché in questi lunghi dieci anni non hanno aiutato questa creatura a trovarsi un lavoro col quale vivere.

Il “don Vecchi” è una struttura con delle finalità ben precise e credo che sarebbe veramente male permettere che diventi una specie di “rifugium peccatorum” che finirebbe per non fare niente bene.

Sarà opportuno perciò che queste operatrici sociali si spendano perché l’ente comunale, o anche le comunità cristiane, creino qualcosa di specifico perché ogni cittadino in difficoltà abbia la risposta che risponde ai suoi bisogni specifici, senza scompaginare realtà che sono state pensate per altre categorie di persone.

Una risposta a “Cosa non è il don Vecchi”

  1. In riferimento all’articolo a mio modo di vedere chiaramente offensivo nei confronti di una categoria di persone come le/gli assistenti sociali, che dopo anni di studi universitari, tirocini vari e anni di esperienza sul campo, si sentano etichettare come persone con gravi problemi psicologici,mi rincresce doverle ricordare caro don Trevisiol, che le assistenti sociali, oggi fanno un percorso di studi lungo e ben definito, si trovano spesso a dover lavorare in condizioni quasi proibitive mostrando una grande professionalità. Le ricordo invece che in passato, (forse in riferimento ai 20-30 anni fa) una parte delle assistenti sociali erano SUORE, forse si confonde con queste figure che spesso non avevano alcun titolo di studio ma esercitavano solo per il fatto di essere religiose. Certo che non fa piacere che qualcuno critichi negativamente, senza cognizione di causa il lavoro di un’altra persona specie quando questo qualcuno è un prete; si preoccupi invece di esercitare bene il proprio ministero, magari anche aiutando i molti preti che in questo momento così difficile per la Chiesa sono in gravi difficoltà.
    Grazie e buon lavoro.

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